Quando il Palio di luglio era un parente povero

Nel corso della seconda metà dell’Ottocento, la carriera di Provenzano, se non perde affatto, ovviamente, il suo portato di passione contradaiola che coinvolge il popolo, vive, tuttavia, un momento di appannamento per quanto riguarda l’aspetto estetico che la riguarda. Il che è, quanto meno, paradossale, anche in considerazione della primogenitura che la carriera di luglio vanta rispetto a quella d’agosto.

Il fatto è che il Palio d’agosto è frequentato, più dell’altro, da forestieri e con questi non si può rischiare di dare uno spettacolo che non sia consono alla grandiosità che essi si aspettano dalla festa senese. 

Così, nei decenni dopo l’Unità d’Italia e fino al primo Novecento, il Palio d’agosto diventa un formidabile costruttore di spin-off turistici: pacchetti all-inclusive (viaggio in treno, posto riservato in Piazza del Campo per assistere alla corsa, visite di musei, opera lirica la sera), Palii bizzarri (alla Romana, in Fortezza o in Piazza, e, orrore degli orrori, due grotteschi Palii a sorpresa a inizio Novecento, accolti con distacco dagli stessi senesi), rievocazioni di antiche pallonate, programmi di eventi da fiera paesana (ma erano tali anche dalle altre parti, sia chiaro: non è che i senesi erano parecchio provinciali. Facevano di questa roba anche nelle grandi città europee. Il nazional-popolare non lo abbiamo inventato oggi; non lo abbiamo elaborato solo in Italia e non lo abbiamo applicato solo a Siena).

Il Palio di luglio, insomma, diventa, quasi per inerzia, un parente povero di quello d’agosto. E la cosa comincia a non garbar più tanto ai contradaioli che, anche grazie alle colonne del popolare giornale “La Vedetta Senese”, rivendicano sempre più insistentemente  una pari dignità fra le due edizioni.

Un primo risultato si ha nel 1899: i turisti non ci sono solo ad agosto – si argomenta giustamente – e quelli che vengono a luglio si trovano ad assistere ad un’edizione sciatta e casareccia che li lascia delusi. Da dove si comincia per cambiare? Dal fatto che a luglio sfilano nel Corteo Storico solo le contrade che corrono: le altre non esistono proprio. Così, il pugnace giornale si fa cassa di risonanza della proposta di rendere il Corteo di luglio in tutto simile a quello d’agosto.

Il Comune (che, all’epoca, non brilla in fatto di sensibilità per il Palio) fa orecchie da mercante. Ma le contrade no e, fra il 27 e il 28 giugno, deliberano che, al Corteo della sera del 2, parteciperanno tutte.

E così è.

“La Vedetta”, giustamente, esce con l’annuncio trionfale della decisione il 1° luglio. Il cammino della par condicio (che troverà il punto di arrivo nella riscrittura del Palio che da lì a meno di trent’anni farà Fabio Bargagli Petrucci) è iniziato. Non ci sono più gerarchie: la bellezza dello spettacolo è assicurata per entrambe le edizioni.

Vicende complesse quelle dell’estetica del Palio. Ne volete sapere di più? Andatevi a leggere la parte relativa su “Il Palio di Siena. Una festa italiana” (edizione Laterza), ma ricordatevi che tutta l’analisi della campagna di stampa non l’ho fatta io: me l’ha regalata Maura Martellucci dalle sue ricerche.

Duccio Balestracci