Un senese tra i 100 intellettuali che celebrano il grande filosofo Morin. Aitiani: “Il futuro non è più quello di una volta”

Il filosofo Mauro Ceruti ha chiamato a raccolta 100 firme italiane, espressioni di una molteplicità di campi del sapere, del mondo accademico ma non solo, per celebrare i 100 anni compiuti dal grande intellettuale di fama mondiale Edgar Morin.

Ne è scaturito un libro importante: “100 Edgar Morin”, edito da Mimesis, giunto in libreria in questi giorni. Tra le cento personalità che hanno contribuito all’inedito e bellissimo libro, c’è anche Marcello Aitiani, pittore e compositore, senese a tutti gli effetti anche se di adozione, protagonista della vita culturale della città e del suo territorio. Il libro sul grande umanista Morin è anche l’occasione per capire, nel pieno di questa gravissima crisi mondiale, “l’orizzonte di un nuovo umanesimo planetario” – di cui proprio Morin è l’interprete – “contro ogni forma di barbarie, per costruire insieme reti e oasi di solidarietà, di fraternità, di pensiero creativo. Per uscire, insieme, da questa ‘Età del ferro dell’Era planetaria’ “.

Aitiani, può accennare qualcosa circa il ritratto che gli ha dedicato, rispondendo all’invito ricevuto?

“Edgar Morin non ha mai smesso d’indagare e cercare una risposta alle tante domande che i fatti individuali e sociali dell’esistenza umana sollevano, comprese quelle sulla morte. Per questa sete di conoscenza ha pagato l’inevitabile prezzo che è richiesto quando ci si differenzia dalle idee dominanti, stereotipate o dei grandi intellettuali in auge e anche dei poteri che in ogni epoca sembrano invincibili. Una ricerca che lo ha spinto anche ad abbandonare con coraggio le proprie convinzioni, quando ne ha compreso i limiti; e questo è forse ancora più difficile. Molte sono state le iniziative per onorarlo, anche dai massimi organismi istituzionali, ad esempio dall’UNesco in Francia. Considero molto meritorio che Mauro Ceruti, allievo, amico e collega di Morin, abbia pensato di festeggiarlo con il coinvolgimento di voci del nostro paese e con la cura della pubblicazione, facendo sì che anche l’Italia abbia preso parte alle celebrazioni di un intellettuale di tale valore. Per quanto riguarda la sua domanda, credo che in ogni ritratto ci sia sempre qualcosa del suo autore e così, anche in questo testo per Morin, probabilmente emerge qualcosa di ciò che penso e sento, anche per quanto riguarda la sfera dell’arte. Mi riferisco ad esempio all’importanza dell’immaginario, del mito, del sogno; questione che è molto presente anche nella riflessione del filosofo e sociologo, con studi pionieristici come “Il cinema, o l’uomo immaginario”, un’opera del 1956; non casualmente è stato il primo a insegnare sociologia del cinema alla Sorbona. Sì, ritengo che sia molto importante tornare a un pensiero che, come ho scritto, «guarda la realtà e la proietta in un mondo diverso e desiderato. […] La realtà infatti non è un mero dato oggettivo: anche i nostri errori, desideri e azioni la configurano e tutte le arti, tecnologiche e della tradizione, in modi diversi possono aiutare, proiettandovi i nostri sogni e oggettivandoli»”..

 

 

 

 

Cosa l’ha colpita di più del pensiero di Morin?

“Il fatto che la sua riflessione teorica quanto appassionata sia sempre in relazione con la vita, con le esperienze anche difficili che Morin ha attraversato e che attraversano le società contemporanee. Una relazione che rappresenta il nucleo unitario del suo pensiero, mantenendolo nello stesso tempo in una condizione di continua evoluzione. Una relazione che scaturisce da, e che contemporaneamente sviluppa il senso di una unità nella diversità. L’unitas multiplex è il comune denominatore che si espande in molteplici temi e condizioni della vita e del pensiero di Morin; la relazione quale realtà dei vari livelli della creazione è, ad esempio, al centro della sua attenzione per un’ecologia ad ampio spettro, che riguarda le risorse naturali come quelle della multidimensionalità dell’uomo. Come artista ho sempre pensato – fin dagli anni Novanta, dai tempi delle comuni esperienze col chimico-fisico e ambientalista Enzo Tiezzi – che un’ecologia che ignora l’estetica pensando solo agli equilibri energetici e un’arte dimentica del senso delle relazioni tra le cose, tra gli uomini e tra i saperi anche scientifici, manifestano una grande insufficienza. Eppure questa è stata, ed è, la condizione più comune”.

Immagino che questo tema delle relazioni sia presente nella sua riflessione per Morin

“Sì, come ho scritto «le cose sono sempre più interconnesse: difficile che qualcuno o qualcosa possa restare indenne; anche l’arte si sta trasformando. Il pensiero filosofico e scientifico, la potenza tecno-finanziaria e il vigore di energie spirituali si confrontano e affrontano, aprendo scenari vastissimi e inediti, potenzialmente disastrosi ma anche positivi. Arrivano notizie degli effetti del virus (domani forse di altri mali) e degli strazi di intere popolazioni. Ma giungono anche annunci confortanti, esempi luminosi di grande altruismo, di avanzamenti del pensiero. Serve uno sguardo complesso che abbracci il frammento nella relazione col tutto». Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che pensare di vincere da soli, a scapito degli altri è un’illusione disastrosa. Nel mondo di oggi, interconnesso come mai prima nella storia per la potenza delle nuove tecnologie, o ci salviamo tutti o sarà un disastro generale. Trovo poi di grande rilievo, e molto vicino al mio sentire, il carattere pluridisciplinare della sua indagine, che riflette la natura altrettanto complessa dei fenomeni della realtà. Un aspetto che traspare nel modo con cui Ceruti ha proposto di rendergli omaggio; guardare questa figura da differenti sensibilità e prospettive disciplinari, come attraverso un caleidoscopio di esperienze, è il modo migliore per avvicinarsi al pluriverso di Morin. La nostra civiltà occidentale e oggi quella planetaria hanno raggiunto traguardi enormi, grazie alla specializzazione e separazione dei saperi, e hanno attivato tecnologie potentissime, con grandi benefici sul piano pratico. Ma il pensiero frammentato (tra cultura scientifica e cultura umanistica, ad esempio) ha mandato in frantumi anche la nostra immagine della natura, dell’uomo e della sua coscienza; e anche le nostre capacità morali, spirituali e artistiche. Da questo derivano le crisi ecologiche e umane, comprese quelle economiche e culturali, dell’epoca che viviamo”.

Da un simile paradigma, da un tale modello di pensiero che tende al superamento della frantumazione e delle tante negatività del nostro vivere, come ha detto, possono nascere indicazioni utili anche per una città come Siena?

“Da decenni Edgar Morin sente e ci segnala quanto sia rilevante «sostituire un pensiero che separa e che riduce con un pensiero che distingue e che collega – come osserva nel libro I sette saperi –. Non si tratta di abbandonare la conoscenza delle parti per la conoscenza delle totalità, né l’analisi per la sintesi: si deve coniugarle». Occorre allora riattivare anche la relazione tra razionalità e sentimento. In un essere umano armonico coesistono il cento per cento di emozioni e il cento per cento di ragioni, secondo una sua espressione che contiene un voluto errore matematico, a indicare che la pura logica è necessaria ma non sufficiente.Sono molte insomma le polarità che non si annullano ma co-esistono come la notte e il giorno: mente e corpo, materia e spirito, scienza e arte, locale e globale, antichità storica e presente, con tutte le sue possibilità e incertezze… molti fili interconnessi di un tessuto policromo, un ipertesto fatto di molti link fra loro inseparabilmente intrecciati e interagenti. Così se anche in una città come Siena si pensasse solo in termini economici o di una cultura soltanto strumentale al profitto, trascurando tutti gli altri aspetti (la salute, la solidarietà, la qualità delle relazioni, la religione, gli affetti, la libertà, la bellezza, la ricerca scientifica, la natura…) molto probabilmente si farebbero disastri. Dunque, come ho scritto, credo che sia «indispensabile educare soprattutto i giovani al paradigma della complessità, per liberare la mente e l’immaginario; per passare dal pensiero frantumato al pensiero della “relianza”». Quest’ultima parola (che compare nel titolo del mio scritto: “L’arte della relianza”) traduce in italiano un neologismo di Morin, che fonde i termini relier (collegare, legare) e alliance (alleanza)”.

C’è anche Siena in questo contesto?

“La Toscana e la stessa città di Siena hanno nel proprio dna una simile profusione di complessità; incarnata, vorrei dire, anche in figure del nostro passato. Come Baldassarre Peruzzi, ad esempio, che è stato considerato un “uomo universale” per la prismaticità del suo operare. O Leonardo, che analogamente considero un artista e pensatore sistemico. La nostra città ha il vantaggio di possedere una ricchezza stratificata nella storia, un grande patrimonio architettonico e artistico.Ma si trova nella condizione di affrontare le crisi e le inedite sfide che questo tempo ci presenta.Ecco, penso che Siena, se ritrovasse uno sguardo sistemico che tenesse conto delle varie componenti in gioco, che non si limitasse all’oggi ma vedesse anche il domani, potrebbe avere davvero delle opportunità in più, rispetto ad altre realtà”.

Che cosa prospetta Morin per il nostro futuro, che cosa può insegnarci?

“Prima di tutto a guardare in faccia la realtà anche brutale del mondo, che spesso non abbiamo il coraggio di vedere preferendo stordirci con mille proposte di evasione. Ma nello stesso tempo, e sulla scia del sentimento trasmesso da Dostoevskij, che Morin ha sentito molto vicino, a opporsi alla sua spietatezza. Morin non chiude gli occhi di fronte ai pericoli gravissimi che corriamo: sull’uso di armi nucleari e chimico-batteriologiche, sempre più incombenti; sui tanti conflitti che frequentemente nascondono interessi egoistici; su ideologie tecnocratiche di una scienza ancora prigioniera del dogma moderno del dominio e della manipolazione della natura; sui pericoli che gravano sull’ambiente a causa dell’inquinamento e della scomparsa di biodiversità, biologica ma anche culturale; sul rischio connesso a una ecologia assolutizzata e lontanissima da quella “integrale” di cui parla Papa Francesco. Minacce come quelle che ho ricordato riguardano l’oggi e il futuro planetario anche prossimo. Morin non solo ci indica simili pericoli, ma anche suggerisce strade possibili, strategie che non danno certezze ma inducono speranze di possibilità. Tra queste, il recupero di un pensiero complesso, che supera le barriere di un rigido determinismo specialistico, come ho accennato. Una capacità di pensare in modo sistemico, una capacità che scuola e università farebbero bene a promuovere come fuoco delle attività educative. E altrettanto fondamentale, la consapevolezza che siamo tutti all’interno di un comune destino planetario. Morin ce lo ricorda con grande forza; Non per generico e sentimentale “buonismo”, ma per un concreto amore nei confronti degli altri e di noi stessi. Penso che davvero sia morale quanto intelligente accendere in noi e vivere il senso di una fratellanza fattiva. Anche in questo senso tutte le arti: la pittura, la poesia, la musica, il teatro, il cinema e le varie espressioni dell’industria culturale, se dotate di una reale autenticità, potranno dare, come sempre è accaduto, un importantissimo contributo”.