Turismo: neanche il tempo di fare i buoni propositi

Non abbiamo avuto il tempo di esprimere i tradizionali buoni propositi di inizio anno.

Perché l’introduzione di norme più rigide per entrare in Italia, la fine della cassa integrazione speciale che mette a rischio licenziamento ben 200 mila lavoratori del settore e il rinvio della Borsa Internazionale di Milano da febbraio ad aprile sono stati i classici tre indizi che fanno una prova: per il turismo, il 2022 sarà purtroppo una fotocopia del 2021.

Fare il profeta è un lavoro che non mi riesce, anche perché di solito i profeti annunciano sventure. E dunque spero proprio di sbagliare, ma le cose sembrano davvero mettersi come dodici mesi fa.

Ovvero, una stagione che inizierà a maggio-giugno invece che ad aprile, con tre mesi di estate di tutto esaurito – grazie agli italiani che avranno ancora timore di andare all’estero – e poi un autunno in cui qualche variante del virus costringerà tutti a chiudere in anticipo le proprie attività. E senza che a questa situazione di crisi per imprenditori e lavoratori si possa (o si voglia) rispondere con seri ristori di carattere economico.

Con un post su Facebook del 5 gennaio, è stato Giancarlo Carniani – uno dei più autorevoli esperti di turismo che abbiamo in Italia – a dire le cose come stanno, senza diplomazie ormai inutili e con la passione di chi non si rassegna ad una situazione, che al terzo anno consecutivo non può più essere definita “emergenza: “Sono stufo di sentire gente incompetente parlare di Turismo (…ma tanto si sono ripresi…riparte…c’è gente…). Ma dove vivono? Quali bilanci hanno visto? Che ne sanno della responsabilità degli imprenditori per le famiglie dei loro collaboratori. Sveglia adesso perché non c’è più tempo. E se l’Italia vola (ma come siamo bravi, il PIL cresce…) il turismo delle città d’arte muore e presto sarà in mano a grandi fondi internazionali perché i nostri imprenditori, quelli sani, non ce la fanno più”.

Anche Carniani mette in fila tre indizi che non solo fanno una prova. Primo, le cosiddette città d’arte sono in ginocchio da due anni e la maggior parte degli alberghi sta pensando di chiudere per la terza volta, senza avere certezze di riaprire. Secondo, le presenze internazionali sono passate da 200 a 20 milioni, per di più concentrate nel periodo estivo e nelle località di mare e montagna. Terzo, l’occupazione media di un albergo in centro a Firenze (ma il dato vale per tante altre città) è scesa dall’80% al 30% con tariffe più basse del 25-30% e quindi fatturati ridotti ai minimi termini.

Questa è la realtà che stiamo vivendo e che ci attende nel 2022

Roberto Guiggiani