Quel 4 maggio 1740, quando Siena fu sommersa dalla neve

Il 4 maggio 1740 Siena fu sommersa da un’abbondante nevicata. Racconta Giovanni Antonio Pecci che “non solamente fu veduta ne monti circonvicini alzata la neve, ma ancora dentro la città cominciò a nevicare e nel dì seguente fu brinata e gelo”. Nevicò di nuovo il 6 maggio in una misura tale “che i vecchi non si ricordano di caso consimile”. La rovina per le persone e i raccolti fu tale che “per placare l’ira d’Iddio e interceder misericordia” il 13 maggio, nella chiesa dell’ospedale di Santa Maria della Scala, venne tenuto esposto alla pubblica preghiera la reliquia del Sacro Chiodo “quel chiodo -scrive ancora Pecci nel suo ‘Giornale’- che credono esser uno della Crocifissione del nostro Signore Gesù Cristo”. Ma la furia della natura proprio non si placava in quel mese di maggio così, il giorno successivo i senesi rivolsero le loro suppliche alla “Santissima Vergine delle Grazie del duomo, riconosciuta per avvocata e protettrice di questa città, e nel dì 15 il sacramento nella medesima chiesa del duomo”. E l’intercessione della Madonna, Advocata Senensium, ebbe, ancora i suoi effetti benefici su Siena tanto che nel mese di giugno la catastrofe e la carestia sono scongiurate. “Comparve veramente agl’occhi degl’uomini cosa meravigliosa, che un mese in dietro si vedeva la campagna poco meno che bruciata (dal gelo, n.d.r.)” e la speranza di poter avere, per quell’anno, un raccolto di grano e sementi era dato ormai per perduto, invece lo stato dei campi seminati era tanto avanzato che sembrava non fosse accaduta la tragedia solo di poche settimane indietro. E, conclude in nostro cronista: “se però la misericordia divina ci libererà dalle nebbie, ci darà una completa guarigione” e si potranno fare, nel mese di luglio le mietiture. I senesi furono esauditi nelle loro preghiere ma, diciamocelo, Pecci non era mai del tutto contento!
Maura Martellucci
Roberto Cresti