Quattro secoli in Villa fra nobiltà e alta borghesia

Da qualche anno Andrea Friscelli si è dedicato a costruire una personale saga familiare ripercorrendo, in agili e discorsivi volumetti, i personaggi e le vicende che hanno scandito la storia della gente di casa sua, a partire dal nonno che, da bambino abbandonato, riuscì a farsi un mestiere e a scalare i gradini sociali affermandosi come prestigioso sarto nella nostra città.

Adesso, stampato dalle edizioni Betti, esce una inusuale piccola monografia (“La villa di Toiano. Racconti e protagonisti nella vita di una Villa nella campagna senese, dal 1650 ai nostri giorni”) incentrata sulla dimora di campagna della sua famiglia, la prestigiosa gigantesca villa vicino a Sovicille, letta come punto di approdo di storie delle altre famiglie che nei secoli la possedettero.

Friscelli costruisce la sua narrazione in un modo originale, con il racconto che si interseca con le eleganti e sobrie tavole (veri e propri fumetti) di Riccardo Manganelli (che, infatti, figura in copertina come coautore) e con la parte espositiva storica che si alterna a immaginari dialoghi e commenti fra persone vissute secoli fa.

Il risultato è una storia di storie, che prende l’avvio dalle sensazioni dell’autore da ragazzo, intimidito dal gigantismo di questa labirintica costruzione in cui si devono attraversare corridoi su corridoi e aprire e chiudere porte su porte per gli spostamenti più usuali, e un po’ seccato dall’aspetto di “domicilio coatto” che la villa assumeva nei mesi delle vacanze estive, quando l’interruzione della scuola recludeva il nostro adolescente negli eleganti saloni e nel sontuoso parco, troppo distanti, tuttavia, dalle occasioni di socialità con i coetanei, più liberi nelle loro vacanze piccolo borghesi di città o di costa marina. E forse, se non sembrasse di mettere in burla la professione dell’autore (psicoterapeuta), verrebbe da chiedersi se questo suo racconto non sia stato un mezzo per affondare in quel senso di disagio, riportarlo a galla e metabolizzarlo tessendo le vicende di quanti, come lui, in questa costruzione avevano passato pezzi di vita significativi.

Si parte, quindi, con la famiglia Savini proprietaria del primo edificio sul quale si svilupperà l’attuale villa, che dota, su insistenza di don Brento Orienti, la costruzione della cappella e che abiterà l’edificio fino alla fine di quel secolo quando, per difficoltà economiche, sarà costretta a venderlo.

Subentrano i de’ Vecchi, famiglia di banchieri ormai nobilitati e i cui membri rivestono cariche di prestigio, a partire dal più “arrivato” di tutti, frà Fortunato, priore dei Cavalieri di Malta e comandante nella flotta pontificia. Loro, i de Vecchi, saranno quelli che daranno la caratterizzazione più marcata alla villa della quale avranno la proprietà per più di due secoli, fino al 1892.- E’ a loro che si deve la decorazione affrescata del salone, da alcuni anni restaurata dagli attuali proprietari, e che ha consentito di conoscere l’opera di un pittore minore (ma non insignificante) come Michele Arcangelo Melani al quale si deve il ciclo delle storie di Alessandro Magno, analizzato, al momento del restauro, da Alessandro Angelini, docente universitario di Storia dell’Arte Moderna al quale si deve, peraltro, la prefazione al libro di Friscelli e Manganelli (“Prefazione. Villa Toiano – Voci e presenze a Toiano”).

Friscelli ripercorre, dunque, le figure più significative dei membri di questa famiglia, legati a Toiano, manifestando, peraltro, una spudorata simpatia per Marcantonio de’ Vecchi, ingiustamente considerato una sorta di pulcino nero della famiglia per non aver conquistato gli sfolgoranti palmares di successi degli altri suoi consanguinei e, invece, proprio lui committente del ciclo decorativo.

Al momento in cui i de Vecchi si disfanno di Toiano subentra, ma solo come una meteora, come proprietario per pochi anni Agostino Chigi della Rovere, conte Albani e quinto principe Farnese. Poi, a lui subentrano nel 1839 quelli che sono verosimilmente suoi creditori, i Mieli, ricca famiglia di banchieri ebrei di Roma. Anche di loro Friscelli segue le storie, con particolare attenzione per un paio di membri che finiscono in cure psichiatriche per differenti forme di disagio psicologico. L’ultima fase di questa storia della proprietà vedrà, peraltro, entrare in campo anche i Fierli, per motivi di legami matrimoniali.

La figura che, tuttavia, lo scrittore segue con più attenzione è quella di Ortensia che, da bambina abbandonata, viene ripresa poi dalla madre che l’ha avuta da una relazione di amori ancillari con Abramo Mieli il quale, a sua volta, la riconosce come sua figlia e la innesta nell’asse patrimoniale familiare. Ortensia sarà, fino al 1930, quando muore, il nume tutelare di Toiano, tanto che, secondo la leggenda domestica di questa villa, il suo fantasma si aggirerebbe ancora nei saloni di Toiano. “Posso assicurare che io non l’ho mai vista”, sentenzia lo scettico e positivista psichiatra Friscelli. Lo consigliamo di chiamare Massimo Biliorsi che, ci scommettiamo, gli scova l’ectoplasma di Ortensia in quattro e quattr’otto.

E infine la conclusione: dopo una opaca parentesi fino agli anni Sessanta, durante la quale la villa di Toiano finisce per essere abbandonata a se stessa, subentra Mario Friscelli, brillante e benestante radiologo, che ne fa dono alla moglie Fiorella per la quale lo storico edificio diviene il buen retiro preferito. E qui la secolare vicenda arriva al suo approdo con le vicende dei giorni nostri. Tre donne, sottolinea Andrea Fiscelli, hanno scandito i momenti più importanti di Toiano e tutt’e tre portavano e portano nomi di fiori: Ortensia, Fiorella e, al momento, colei che la gestisce direttamente, Gigliola Friscelli. Considerando che Andrea ha tre figlie e che una di esse si chiama Viola, c’è solo da aspettare che la tradizione femminil-floreale di Toiano scriva, con quest’ultima, il suo ulteriore capitolo.

Duccio Balestracci