Produrre cibo inquina (molto più di quello che pensiamo)

Produrre cibo inquina (e molto, molto più di quello che pensiamo)

È stato presentato a Siena il volume Eating planet. Cibo e sostenibilità: costruire il nostro futuro, a cura della Fondazione Barilla center for food & nutrition. Un libro per scoprire come una dieta equilibrata sia fondamentale per la nostra salute e il futuro della Terra

Di solito, quando si parla di inquinamento ci vengono subito in mente i gas di scarico prodotti dalle automobili. Tutto vero, certo. Ma c’è dell’altro. Anche la produzione di generi alimentari, infatti, ha un impatto estremamente significativo in questo senso. Secondo i dati raccolti dal Barilla center for food & nutrition è nel settore agroalimentare che si produce la maggiore quantità di gas serra a livello mondiale (31% del totale), superando ampiamente i gas nocivi prodotti dal riscaldamento (23,6%) e dai trasporti (18,5%). Ciò è dovuto in particolar modo all’allevamento intensivo degli animali da carne e da latte: per il sostentamento del bestiame vengono infatti impiegate ingenti quantità di acqua e cibo, sottraendo così terreno all’agricoltura destinata all’alimentazione umana. Le emissioni di gas serra prodotte dal business agroalimentare sono aumentate del 20% dal 1990 ad oggi, e addirittura raddoppiate rispetto agli anni ’60.

Nel libro – giunto alla sua seconda edizione – sono riproposti e ulteriormente approfonditi, con tutti gli aggiornamenti del caso, i tre “paradossi” che erano stati affrontati nel primo volume. Dati sconcertanti, che meritano di essere conosciuti. Prima di tutto, per ogni persona denutrita ce ne sono due obese o in sovrappeso. In secondo luogo, ben il 40% dei raccolti di cereali è destinato alla produzione di mangimi e biocarburanti. E per concludere, circa un terzo della produzione di generi alimentari va sprecata (ne avevamo parlato in un precedente articolo, in occasione dell’approvazione alla Camera di un testo di legge contro lo spreco alimentare), vuoi per il sopraggiungere della scadenza, per difetti della confezione, avanzi, etc. Basterebbe appena il 25% del cibo sprecato per soddisfare le esigenze dei 795 milioni di persone in tutto il mondo che ancora soffrono la fame.

Sotto questo punto di vista, Siena si è mostrata particolarmente attenta. All’evento di presentazione ha infatti partecipato, fra gli altri, anche Davide Usai, direttore generale della Fondazione Mps: “La programmazione strategica della Fondazione Mps comprende anche l’ambito dello sviluppo sostenibile e le tematiche ad esso connesse, come la tutela dell’ambiente e lo sviluppo della filiera agroalimentare. Nel corso del 2015 – ha proseguito – la Fondazione Mps è stata la prima fondazione di origine bancaria a sottoscrivere ed aderire al Protocollo di Milano sull’alimentazione e la nutrizione, lanciato dal Barilla center for food & nutrition. Questo basta a spiegare quanto il nostro impegno si sposi con quello di Bcfn. La Fondazione Mps, nel condividere la qualità dei valori espressi nel Protocollo, sta sviluppando alcune iniziative collegate come il progetto School food, volto a creare un percorso educativo per gli studenti di sei scuole della provincia senese, per lo sviluppo di un corretto stile di vita. Inoltre – ha concluso Usai – continuano le collaborazioni in materia di agricoltura, benessere e sostenibilità con l’Università di Siena”.

E l’Italia? Il Belpaese, celebre nel mondo per la dieta mediterranea, sembra però sempre più incline ad abbandonare le buone abitudini a tavola. Alimentazione ricca di grassi, cibo di qualità scadente e scarsa attività fisica hanno portato l’Italia ai vertici della classifica europea per obesità infantile (quasi 2 adolescenti su 10 hanno un problema di peso in eccesso). E anche fra gli adulti, le cose non vanno meglio (soltanto 3 su 10 praticano regolarmente sport). Frequenti i pasti fuori casa (nel 24% dei casi), spesso “di corsa”, a causa dell’accelerato stile di vita che contraddistingue la nostra società (addirittura il 14% degli intervistati dichiara di consumare abitualmente il proprio pasto in piedi).

Che fare? Luca Virginio, vice presidente di Barilla center for food & nutrition, intervenuto alla presentazione moderata dalla giornalista Tessa Gelisio, prova a dare una soluzione: “L’adozione di una dieta sostenibile può diventare il volano di cambiamento per salvaguardare la nostra salute e il pianeta in cui viviamo, ma anche per aiutare i singoli territori in un percorso di sviluppo economico. Il consumatore ha un grande potere di cui spesso non è pienamente consapevole. Il cittadino, con l’acquisto di frutta di stagione, di carne autoctona, di prodotti sostenibili e biologici, e con un consumo moderato di dolci e carni, ha la possibilità di inviare un segnale chiaro alle imprese alimentari, che potrebbero essere portate a riconsiderare l’offerta in relazione alla domanda. Tutti noi possiamo fare qualcosa”.

Giulio Mecattini