Il 1630: quella volta che la peste, a Siena, ci “sfrisò” e basta

E dunque, parafrasando Manzoni, in quel 1630, la peste che le autorità sanitarie avevano temuto che potesse entrar in Toscana dopo che era entrata in Lombardia con le bande alemanne, c’era arrivata davvero, come è noto; ed è noto parimente che anche nella nostra regione combinò un disastro.Ma non dappertutto in non in uguale dimensione. I controlli sanitari non erano uniformi; le risposte dipendevano da località a località; le capacità di precauzione e di prevenzione variavano da città a città.

Il 15 maggio, da Firenze, arriva l’allarme rosso per tutte le terre granducali: è la peste; attenetevi alle norme emanate dalle autorità sanitarie centrali. Si chiudono le botteghe dove si vende carne fresca; chi è sospettato di aver avuto contatti con gente di passaggio infettata (o ritenuta tale) si deve mettere in quarantena volontaria (vi suona familiare?). Soggetti a rischio come le prostitute e i vagabondi sono immediatamente allontanati o segregati.

 

Non sempre tutto ciò è sufficiente. A San Gimignano, ad esempio, va in scena una Milano in scala: nonostante i blocchi delle strade che isolano il castello dalla direzione di Volterra-Pomarance-Pisa-Livorno e dalle direttrici della Val di Pesa e di Siena; nonostante tutte le precauzioni (le lettere che arrivano vengono sottoposte a “fumigagione” prima di essere inoltrate ai destinatari); nonostante tutto questo, il contagio colpisce come un maglio.

Non mancano nemmeno figure border-line fra l’untore e il goliardo buontempone: pochi giorni prima di Natale del 1630, il 23 dicembre, le guardie trovano la serratura della porta a Quercecchio lordata: “è stato smerdato tutta la toppa”, recita il rapporto del funzionario, che più oltre ribadisce “smerdata in quantità assai”. Una bravata innocua, se non fosse per l’inquietante cartello trovato appiccicato accanto a quella porcheria: “Alla seconda troveremo modo d’appestare i chiavistelli, però chi s’ à [a] guardarsi si guardi dalla mala sorte”.

A Siena no.A Siena i funzionari intelligenti che contornano l’intelligente Governatore don Mattias dei Medici trovano il modo di costruire intorno alla città un cordone sanitario che funziona.

Ebbero più intelligenza, o, forse, più culo. Come che sia, e si legge anche dalle Deliberazioni del Collegio di Balìa, i Senesi, dopo aver preso eccezionali misure precauzionali “imposte dalla urgenza e dalla gravità del momento (…) per sfuggire con più sicurezza al contagio”, si rivolsero a Dio attraverso l’intermediatrice per eccellenza, Maria, Advocata Nostra, ed i Santi Bernardino e Caterina. E, raccontano le cronache: “la grazia fu ottenuta in pieno: Siena tante altre volte, nei secoli precedenti, provata dalla morìa non ebbe allora neppure una vittima” e “benchè il morbo picchiasse fino alle sue porte ne fu riparata”. 

Fra le deliberazioni del Collegio di Balìa ne troviamo una datata 27 agosto 1630, quando l’epidemia in alcune città si stava manifestando nella fase più acuta, nella quale si stabilisce “che sopra ciascheduna delle porte di questa città si ponesse un Nome di Gesù in pietra in memoria di San Bernardino nostro concittadino”. 

Così su ogni Porta della nostra cinta muraria viene posto il Nome di Gesù e il monogramma di San Bernardino scolpito in marmo e quando riuscirete fuori da questo “esilio” guardatele bene le Porte perché, sulla maggior parte di esse, il monogramma del nostro Santo c’è ancora ed ora sapete il perché. E molti in città imitarono l’idea dei governanti e posero sui loro palazzi e case  e torri le sante effigi a protezione.

Tuttavia non sottovalutiamo davvero la politica di Mattias e la sua tempestività nel chiudere le porte della città, controllare militarmente chi entra e chi esce, bloccare le merci ed i commerci dalle zone a rischio. Ovvia, non mi odiate, ma alcuni dei Medici, lasciatemelo dire, amavano Siena (e qui non tirerò fuori storie di viscere o cuori lasciati come segno di devozione alla Madonna di Provenzano nella cui “casa”, nella Collegiata, avrebbero chiesto che fossero sepolti: che poi solo la Madonna dei Miracoli sappia se e dove sono è un’altra storia) e la rispettarono e la gestirono salvaguardandola nel modo migliore possibile: lo stesso Mattias e Violante Beatrice di Baviera sono due esempi emblematici. 

Come che sia, la tristemente famosa peste di Milano, quella del Manzoni, Siena appena la sfiorò. Di Milano sappiamo tutto. Ma anche Venezia, ad esempio, viene duramente colpita e non trovando un modo di debellare la malattia, il governo della Repubblica organizza una processione alla Madonna, coinvolgendo la popolazione superstite per tre giorni e tre notti. Il doge arriva a pronunciare un voto con cui si impegna ad erigere un tempio votivo solenne e grandioso nel caso in cui la città riesca a sopravvivere al morbo. A poche settimane dalla processione l’epidemia incomincia a regredire fino alla sua estinzione, nel novembre del 1631. Il governo stabilisce di ripetere la processione ogni anno, in onore della Madonna, definita da allora “della Salute”, e mantiene fede al voto fatto dal doge, iniziando la costruzione, di quella che ancora oggi è la basilica di Santa Maria della Salute (consacrata nel 21 novembre 1687).

Ma allora, se “portammo la pellaccia a casa” per le stesse precoci e opportune precauzioni anche nel 1720 durante la peste di Marsiglia (ve l’ho già raccontato nel primo articolo scritto su Siena News, andate a leggerlo se volete), perché nel 1348 la popolazione venne decimata? Intanto era un’epoca diversa, era la prima pandemia globalizzata, diremmo oggi, e nessuno era preparato alla sua portata distruttiva. Però, quella volta le parti si invertirono: Milano viene risparmiata mentre a Siena furono, in quel 1348, un po’ più “billocconi” e aspettarono laprile, quando i primi casi si manifestarono in città, per intervenire. Eppure le notizie del contagio stavano circolando da tempo, ma tardi si pensò a controllare gli ingressi alle porte, a limitare gli spostamenti delle persone (lo sapevano già allora che bisognava stare a casa), a bloccare le occasioni di raduno (a Venezia, al tempo della processione sopra descritta nel 1630 l’ondata peggiore era passata), ad istituire quarantene (Ippocrate, vissuto tra il 460 e il 370 a.C., aveva stabilito che il quarantesimo era l’ultimo giorno nel quale poteva manifestarsi una malattia acuta come, appunto, la peste); severe norme igieniche e a vietare il commercio con città marittime già colpite.

Quali furono gli effetti della Peste Nera su Siena li conosciamo perfettamente.

Ma, oggi, anno bisesto anno funesto 2020, facciamo sì che (e questa frase la odio: premetto) la storia non si ripeta. Anche perché, anche queste, sono raccomandazioni che, vedete, attraversano i secoli. Perché il buonsenso, gentine, porta buone cose in ogni epoca. 

Maura Martellucci