Omicidio della Fornace, le precisazioni degli avvocati della parte offesa

Riceviamo e pubblichiamo integralmente l’intervento inviato dai legali della famiglia del defunto, l’uomo ucciso lo scorso 4 gennaio alla ex fornace di Castelnuovo Scalo.

“Nella nostra qualità di difensori delle persone offese nel processo penale relativo al delitto della Fornace e a tutela dell’immagine del defunto e della famiglia che rappresentiamo, ci vediamo costretti a correggere alcune inesattezze contenute nelle vostre precedenti pubblicazioni su questo argomento.

Il Tribunale dei Minori di Firenze ha infatti riconosciuto la gravità dell’omicidio perpetrato ai danni del sig. Abderrahim Nagbi e soprattutto la colpevolezza dell’imputata comminandole il periodo massimo di messa alla prova (tre anni) e, tra l’altro, la prescrizione di non allontanarsi dalla struttura in cui dovrà eseguirsi il programma.

In questa decisione hanno sicuramente giocato un ruolo le incongruenze tra la versione della giovane e l’esito delle indagini.

Il presupposto essenziale della sospensione del processo con messa alla prova è infatti rappresentato da un accertamento della responsabilità dell’imputato per i fatti che gli vengono contestati e la richiesta di ricorrere a questo istituto configura a ogni effetto una vera e propria ammissione di colpevolezza.

Per farla accedere a questo rito il Tribunale ha sicuramente valutato positivamente il percorso rieducativo compiuto dalla minore nei sei mesi di applicazione della misura cautelare e il pubblico ministero, anche se non ha escluso che il movente potesse essere quello dichiarato dall’imputata, ha evidenziato che le indagini hanno smentito la ricostruzione della minore.

Nessuna prova è stata raccolta in merito all’antefatto e pertanto nessuna violenza sessuale è stata accertata; anzi il coltello che la minore sostiene sia stato utilizzato dal Nagbi e con cui lo stesso l’avrebbe ferita, non contiene tracce ematiche.

E’ stato poi acclarato che le ferite patite dalla vittima sono contestuali e riconducibili alla sua fuga.

Per questo motivo nessuno ha mai parlato in aula di una legittima difesa (o, atecnicamente, di una reazione legittima) che non è stata in alcun modo riconosciuta dal Tribunale per i Minorenni.

Anche perché, in caso contrario, il giudice avrebbe dovuto necessariamente assolvere la minore.

La nostra presenza in questo processo, seppur nei ristretti limiti riconosciuti alle persone offese, è stata finalizzata a evidenziare tali incongruenze e soprattutto a difendere l’onore e il decoro della vittima”.

Avvocati Francesco Maccari, Sara Fè e Massimiliano Fanti