Nicoló, Duccio e il senso delle cose: la fiducia di sapere

Nicolò, Duccio e il senso delle cose è la rubrica settimanale di giornalismo narrativo su Siena proposta da SienaNews. Gestita da due giovani, Nicolò Ricci per la fotografia e Giada Finucci per la scrittura, vuole portare lo sguardo delle nuove generazioni sulla città. Il suo scopo è quello di valorizzare luoghi di Siena attraverso la fotografia e il racconto.

Passeggiando per Siena, davanti a San Domenico incontro la statua “L’albero della conoscenza” e in Via Pianigiani “Conoscenza”. L’arte contemporanea non informa, non ci dice nulla in più, se non offrire un appiglio alla nostra mente per rivangare nel terreno dei ricordi. Attraverso questi è possibile capire cosa sia per ognuno la conoscenza…

“Esponimi il secondo teorema di Euclide”

Un afflusso di sangue partì concentrato dal basso ventre e raggiunse le mie gote fino a renderle paonazze. Tutto ciò che credevo di sapere, ogni nozione incapsulata e riposta nel suo dovuto cassetto, scomparve in un bianco indistinto. Mi alzai. Lo stridio della sedia sul marmo del pavimento erano le chiarine d’ingresso allo spettacolo della mia caduta. Le mani iniziarono a tremarmi, mentre con gli occhi le imploravo di cercare gnorri la pagina del teorema. Le pagine scorrevano dietro la schiena del compagno seduto davanti a me senza che io potessi leggerle, gli occhi fissi al volto da cui proveniva il punto di domanda.

 

 

“Chiudi il libro, per favore”. Alla voce altisonante della professoressa vidi il corpo di Alice alla mia destra farsi rigido e presente, come fosse stato anch’esso interpellato. Come la ciurma dell’arrembaggio a cui viene annunciato il momento di scendere le scialuppe di salvataggio, anch’esso era stato chiamato. Iniziai a udire suoni gutturali provenire dalla sua testa abbassata. Avevamo studiato assieme, sapeva che io sapevo. Lo sapeva più di me. Era la testimone di ciò che avevo imparato e che io stesso non riuscivo a tirar fuori.

Le labbra della professoressa si muovevano fissate dalle mie pupille senza sguardo, mentre con l’orecchio destro cercavo di decifrare lo strano alfabeto di Alice.

Perduta ogni speranza, la sentii strappare un foglio e fare tic con la penna. Distolsi lo sguardo dal volto inquisitore, specchio di ogni mio fallimento, parete su cui tutte le mie mancanze venivano annotate in rosso. Guardai in basso, al banco. Lessi cosa aveva scritto Alice: “Lo sai, Duccio”.
In quel momento vidi davanti a me il palmo di una mano che aspettava di essere stretto per condurmi fuori dalla gabbia chiodata dell’ansia e farmi tornare a respirare all’aria aperta. Il mondo intero mi abbracciava e diceva che potevo farcela. Le ghiandole sudoripare si dettero una tregua.

La nebbia si era diradata, intravedevo nella radura un sentiero di numeri e parole. Lo intrapresi. Il disegno di un quattro che la penna dell’insegnante stava percorrendo fu interrotto da una voce sicura e altisonante. Era la mia. Recitai il teorema alla perfezione. La conoscenza era tornata. A lungo mi chiesi se fosse stata calata dall’alto. Da poco ho capito, che proveniva dalla mia destra.

 

Duccio

Testo di Giada Finucci

Foto di Nicolò Ricci