Nicoló, Duccio e il senso delle cose: gli innamorati nel vicolo degli Orefici

Passeggiavamo fianco a fianco, naso all’insù e assorti ognuno nei propri pensieri,  profumo di Bouganville ci rapì e riportò la nostra attenzione sulla strada che stavamo calpestando. “E da qui, dove andiamo?” Lo sguardo di Elisa indicava l’arco rosso di mattoni alla sua destra. “Da qui? Da nessuna parte, credo». Non c’ero mai entrato nemmeno io. “Ah, ci sono vie che non portano a niente?”. Più di quante possiamo immaginarci, avrei voluto dirle. Più di quante possiamo immaginarci. Ma rimasi sul concreto. “Sì, certo, Siena è piena di strade senza fondo. Viuzze in cui vi sono solo abitazioni, e gli inquilini non devono preoccuparsi del frastuono dei passanti, perché da lì, non passa mai nessuno”.Non era così nella sua città: un complesso di case, uffici e supermercati disposti in fila ordinata su pianta rettangolare. Nessuna sorpresa, alcuna possibilità di perdersi. Dove quando una persona cammina, è perché sa dove vuole andare.”Entriamo, allora”, “Entriamo”.

 

Incrociai con lo sguardo l’insegna di marmo in alto a destra, Vicolo degli Orefici. Mi chiesi se a quelle porte basse poste una accanto all’altra in maniera disordinata non venissero un tempo a bussare innamorati in cerca dell’anello di fidanzamento, serve inviate dalla padrona per procurarsi il gioiello adatto alla festa imminente, madri sole che lasciavano tutto ciò che di caro avessero per qualche moneta con cui sopravvivere in cambio. Elisa sembrava ubriacata dal profumo invadente dei fiori. La borsa le sbatteva sul fianco mentre saltellava da un aroma all’altro, calpestando con i sandali la pietra serena e impigliando quasi i ricci alle foglie di vite che ci penzolavano sulla testa. Il profumo è come un quadrato di cioccolato fondente: in un attimo spedisce alle stelle i tuoi livelli di serotonina, mandandoti in visibilio. Era il nostro ultimo giorno di vacanza insieme: la mattina dopo lei sarebbe ripartita e io tornato alla mia quotidianità, in cui imboccare un vicolo significa avere una direzione a cui prestare fede.

Le nostre ultime ore di libertà avevano il sapore di un mondo dimenticato che perdendosi per Siena è ancora possibile scoprire. Eravamo tornati bambini: era come se sorpassando l’arco di ingresso al vicolo il tempo avesse accettato di fare un passo indietro, restituendoci la spensieratezza del gioco e di un agosto che fatica a finire

Duccio