L’olio (evo) nuovo: miti e leggende del nostro oro giallo

Un’antica leggenda greca narra che Zeus, nel dirimere la contesa per la sovranità sulla città di Atene tra Poseidone e Atena, li avesse invitati ad offrire il più bel dono alla città. Poseidone col suo tridente fece sorgere un cavallo invincibile in battaglia; Atena affondando la propria lancia nella roccia, fece nascere il primo ulivo. La pianta avrebbe dovuto illuminare la notte, curare le ferite e offrire nutrimento alla popolazione. Zeus ritenne che il dono pacifico fosse il migliore ed Atena divenne la dea protettrice della città Attica.

L’immagine di questo albero come simbolo di pace è stato poi recepito dal cristianesimo, ed è giunto fino a noi. Tutto il Mediterraneo è costellato da queste meravigliose piante, a volte anche secolari, il cui prezioso frutto si coglie tra ottobre e novembre. In passato la raccolta era molto faticosa, gli uomini si inerpicavano sui rami sbatacchiandoli, per far cadere le olive a terra, le quali poi venivano trasferite nelle ceste dalle donne e i bambini. Altrimenti le olive si facevano scivolare in una cestella legata alla cintura, tenendo ferme le frasche con una mano. Una volta finito il lavoro il carico veniva trasportato al frantoio nel carro trainato dai buoi.

Oggi il lavoro è agevolato dall’ausilio di strumenti specifici, ma non ha perso il fascino e rappresenta, come la vendemmia, la fine di un ciclo, un rito che termina con l’assaggio del nettare prelibato: la fettunta in compagnia degli amici (non più di 4 quest’anno, mi raccomando!!!). C’è una particolare espressione che ricorre dalle nostre parti: le “olive hanno fatto del dieci”. Significa che da ogni quintale di olive raccolte si estraggono 10 Kg di olio. In quest’annata dunque la resa è stata abbastanza buona, considerando che a volte raggiunge 14 o 15 kg. Legata all’olio c’è anche un’altra curiosità, che mi raccontava sempre la mia nonna. L’olio veniva usato (talvolta anche oggi) per togliere il malocchio o per far passare il mal di testa ai bambini. Delle gocce d’olio venivano versate in un piatto con l’acqua; se le gocce si scioglievano nell’acqua, significava che la persona aveva il malocchio.

Quindi si recitava una preghiera per mandarlo via e si ripeteva l’operazione fino a che le gocce tornavano a galleggiare nell’acqua. L’abbinamento del vino alla fettunta non è di facile riuscita. Contrariamente alla tradizione toscana, che lo accosta al vino rosso, il miglior abbinamento è con i vini bianchi. A seconda dell’intensità dell’olio: un vino bianco semplice (es. Val di Cornia Bianco Doc) se l’olio è delicato, se invece è molto astringente e piccante, potrete anche accostarvi un vino bianco più corposo (es. Vernaccia di San Gimignano Riserva) o una bollicina secca.

Stefania Tacconi