Le eccellenze del territorio: il tartufo bianco di San Giovanni d’Asso

Una delle eccellenze che il territorio senese vanta, è il pregiatissimo Tartufo Bianco di San Giovanni d’Asso. Proprio in questi giorni avrebbe dovuto tenersi la XXXV Mostra Mercato del Tartufo Bianco di San Giovanni d’Asso, che a causa dell’introduzione delle nuove misure anti Covid è stata annullata.

Questo prelibatezza era apprezzata anche dagli antichi, e deriva la propria etimologia dal latino terrae tufer, escrescenza della terra. La leggenda vuole che a generare questo tubero misterioso, sia stato un fulmine scagliato da Zeus nei pressi di una quercia (l’albero a lui sacro); ed è proprio grazie a questa leggenda che gli si attribuisce proprietà afrodisiache, in quanto Zeus era un noto donnaiolo. Sono numerosi i documenti che attestano l’esistenza di questo fungo sotterraneo anche presso i popoli antichi.

Sappiamo che i Babilonesi lo conoscevano nel 3000 a.C. e ci sono testimonianze della sua presenza anche presso i Sumeri, al tempo del patriarca Giacobbe, intorno al 1700 a.C., dalla Mesopotamia la sua fama si estese anche alla Grecia. I primi riferimenti storici li ritroviamo nell’opera “Naturalis Historia” di Plinio il Vecchio (79 d.C.), a conferma che il tuber era molto apprezzato sulla tavola dei Romani, i quali molto probabilmente lo conobbero dagli Etruschi. Il De re coquinaria, opera di Marco Gavio detto Apicio, celebre gastronomo dei tempi dell’imperatore Tiberio, contiene le prime ricette di piatti a base di tartufo, a quei tempi molto costoso, in quanto di difficile reperibilità.

Nel Medioevo invece il tartufo fu considerato cibo del demonio e velenoso (forse perché per reperirlo si doveva andare in zone pullulate da vipere), e quindi venne dimenticato, per riapparire in epoca Rinascimentale sulle tavole degli aristocratici. Fu Caterina de’ Medici nel 1500 a portare alla Corte di Francia il tartufo bianco del Castello Mediceo di Cafaggiolo di Barberino di Mugello (FI), e la sua fama continua ancora ai nostri giorni.

L’attività del “tartufaio” è un’arte che si tramanda di generazione in generazione; in passato veniva guidata con l’ausilio del maiale, oggi viene condotta per praticità con i cani. Esiste un vero e proprio regolamento per la ricerca e cavatura del tartufo, nel pieno rispetto dell’ambiente, per permettere la continua rigenerazione biologica. Dal profumo delicato e persistente, il tuber viene esaltato nel piatto con l’uovo al tegamino, tagliolini o risotti, ma anche su una bella bistecca. L’abbinamento con il vino è una questione che divide un po’ tutti. Diplomaticamente si può dire che si può accostare a bianchi o rossi o spumantizzati di media struttura che non ne sovrastino troppo il sapore, personalmente propenderei per un vino bianco fermo di media struttura.

Stefania Tacconi