L’Antartide può essere ancora più vulnerabile al riscaldamento globale, lo rivela uno studio internazionale

Un nuovo studio guidato da ricercatori dell’Imperial College di Londra, a cui hanno partecipato i geologi Luca Zurli e Matteo Perotti del dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Siena, ha analizzato le dinamiche delle Calotte antartiche nel Miocene Inferiore e medio, circa 18-16 milioni di anni fa, quando si sono registrati intervalli sia più caldi che più freddi rispetto al presente. Alla ricerca aveva preso parte anche Franco Talarico, professore associato di Petrologia e Petrografia dell’Ateneo e profondo conoscitore della zona antartica, scomparso lo scorso anno.

Nei periodi più caldi il livello medio del mare era fino a 60 metri più alto dell’attuale, indicando che gran parte del ghiaccio antartico fosse sciolto. Quanto questo innalzamento marino fosse legato alla più grande e stabile Calotta Antartica Orientale (EAIS) o alla più piccola e dinamica Calotta Antartica Occidentale (WAIS) era ancora fortemente incerto.

Il lavoro scientifico del gruppo di ricerca internazionale, all’interno dei progetti dell’International Ocean Discovery Program (IODP), pubblicato sul numero uscito il 16 dicembre su “Nature”, dimostra che nei periodi freddi del Miocene Inferiore e Medio la Calotta Antartica Occidentale esisteva già ed era più sviluppata del previsto, il che significa che il suo scioglimento ha fortemente contribuito all’innalzamento del livello marino.

In passato si riteneva che la Calotta Occidentale fosse piccola e poco sviluppata prima dei 10 milioni di anni fa e che l’innalzamento marino registrato nei record geologici derivasse principalmente dallo scioglimento della Calotta Orientale. Tuttavia, le modellazioni delle calotte antartiche suggerivano che porzioni di Calotta Orientale rimanessero presenti nei settori più interni dell’Antartide anche durante i periodi più caldi del passato, come l’optimum climatico del Miocene Medio (circa 16 milioni di anni fa).

Il team di ricerca ha perforato i sedimenti marini nel Mare di Ross in Antartide per andare a scovare gli strati deposti nei periodi più caldi e più freddi del Miocene. Lo studio di provenienza di questi sedimenti, applicando metodi geocronologici, petrografici e geochimici, ha rilevato la presenza di materiale trasportato dalla Calotta Occidentale molto al largo nel Mare di Ross, dimostrando che essa fosse ampiamente espansa nel Miocene Inferiore (circa 18 milioni di anni fa).

La Calotta Occidentale è attualmente ritenuta molto vulnerabile al riscaldamento atmosferico ed oceanico, che si sta sviluppando a ritmi sempre più veloci. Comprendere la sensibilità della Calotta Occidentale ai cambiamenti climatici del passato è importante per prevedere la risposta del ghiaccio antartico nel breve e nel lungo periodo se non verranno messe in atto le politiche di riduzione dei gas serra.

Matteo Perotti e Luca Zurli, i ricercatori dell’Università di Siena coinvolti nella ricerca spiegano: “Per noi è un piacere aver dato il nostro contributo a questa importante ricerca ed aver fatto parte del team dell’International Ocean Discovery Program. Questo lavoro è di primaria importanza perché ha dimostrato che i dati geologici sono in accordo con i modelli, i quali riescono a cogliere fenomeni del passato, come il comportamento di sistemi complessi quali la Calotta Antartica Occidentale, aiutando a capire come l’Antartide possa rispondere ai cambiamenti globali nel breve e lungo periodo. Vorremmo dedicare questo risultato al Professor Franco Talarico, anche lui co-autore della pubblicazione, purtroppo scomparso un anno fa. Il professor Talarico ha dedicato l’intera sua vita accademica alla ricerca antartica e con i suoi studi ha tracciato la strada da percorrere. L’augurio è di essere bravi a sufficienza per non disperderne le tracce”.