La testa di Via del Refe Nero

Siena e la sua storia vengono rese ancora più amabili dal sapore medioevale che impregna ogni angolo della città. Nonostante l’inevitabile evoluzione, essa ha conservato la magìa di uno scenario antico, ancora cullato nelle case addossate l’una all’altra, nello scalpiccìo del passeggiare sulla pietra serena e negli angoli – quelli nascosti – che fanno dono della loro particolarità solo all’occhio più attento. Ciò che più affascina, probabilmente, è quello spiffero di mistero che sembra sussurrare da ogni anfratto, narrando trame perpetuate nel tempo dai senesi e da chi si è fermato a godere di queste strade, scoprendone l’incanto, lasciandosi ammaliare dagli scorci panoramici, dai palazzi e dalla gente stessa, facendosi avvolgere da quest’aria intrisa di storia, così tanto… Da trarre in inganno, se non si è abbastanza accorti.

Via del Refe Nero – la prima a destra, scendendo da Via dei Rossi – si può includere tra i sopra citati angoli nascosti, appartata nel cuore del centro storico, si snoda tra il rione della Giraffa e quello della Civetta. Ecco, se passando di lì si ha l’ardire di alzare gli occhi verso i tetti, ci si imbatterà in un alquanto bizzarro lampione (wow!): un reticolo di ferro molto somigliante ad una gabbia (oooh!) e, ormai che ci siamo, tanto vale sostare ad osservarlo meglio, questo lampione. Strizzando la palpebra, un occhio allenato potrà notare che (sorpresa!) non si tratta di un lampione, bensì di un antico porta torcia, facente parte dell’altrettanto antico metodo di illuminazione della città (aaah!) e quanta meraviglia si può provare nell’ammirare tale oggetto, se non fosse per la testa d’uomo mozzata che vi alberga, proprio lì ove vi stava la torcia (!!!).

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Una volta ripresi dallo shock iniziale e bevuto un sorso d’acqua per ristabilire le giuste funzioni vitali, si può finalmente cedere all’esaltazione che tale incontro può provocare. Di nuovo, Siena stupisce tutti. Che eccitazione nell’aver trovato un tale resto medioevale e – cercando informazioni in merito – si scoprirà che quella era proprio la sorte che toccava alle teste dei condannati a morte. Quali leggende vivranno negli occhi di quel poveretto decapitato e impalato lì, a fissar la strada, colpevole di chissà quale misfatto! Era forse un brigante? Un assassino? Uno scellerato ladro di reliquie? Ah, non ci dimentichiamo che quel palazzo – proprio quel palazzo – viene chiamato del Diavolo Rosso, forse l’ennesimo monito per chi osava farsi oppositore della famiglia che vi abitava? O, magari, esso descrive le nefandezze che vi succedevano all’interno? Troppe domande finiscono per animare il cuore di chi si imbatte nella testa di Via del Refe Nero. E’ un po’ crudele, ma la vera storia dietro a questo bello spettacolo distrugge i sogni di chi è ancora lì sotto a osservare la gabbia e, purtroppo, ciò che riguarda quel cranio così bellamente sospeso per aria, non comprende avventure medioevali – eh, no – niente …le donne, i cavalier, l’arme e gli amori, per noi. Nel periodo a cui risalgono cranio e lampione, l’usanza di esporre i resti del condannato era già ampiamente superata e, bensì l’immaginario non possa far altro che correre all’epoca a cui tutta la citta rimanda, la testa che sorveglia Via del Refe Nero, altro non è che un finissimo orpello, un manufatto, la riproduzione di una testa mai esistita e di una mai esistita persona. Il bel palazzo avente un nome così oscuro, apparteneva a tale Giuseppe Mazzoni ( figlio di Foresto Riccardo, fondatore della Casa d’Arte Antica Senese ), antiquario vissuto a cavallo tra gli ultimi anni del milleottocento e i primi decenni del millenovecento. A quanto pare, l’estroso signor Mazzoni ebbe l’idea di rendere più affascinante il proprio edificio, ” invecchiandolo” con brillanti trovate come – per l’appunto – la finta testa d’uomo, fintamente risalente al Medioevo. Insomma, niente più che il vezzo di un appassionato, volto a tener lontani i malintenzionati, forse, ma pur sempre un cimelio di ben più recente mano. Per altro, il nostro fantasioso quanto macabro Giuseppe Mazzoni, non era nuovo al concepimento di falsi perfetti, infatti, egli è recentemente divenuto noto per essere stato stretto complice di Icilio Federico Joni ( altresì conosciuto come Paicap ), il più dotato e il più famoso dei falsari lavoranti nella Siena dei primi del ‘900. Le opere falsificate da Joni potevano vantare una così perfetta riproduzione da essere finite nelle pinacoteche di tutto il mondo – vendute per autentiche, ovviamente – e che adesso sono definite dei veri e propri falsi d’autore, tanto era talentuosa la mano che le ha contraffatte e poi vendute, a quanto pare, con l’aiuto del nostro Giuseppe Mazzoni, antiquario e mercante d’arte. Detto questo, viene da pensare: che quella testa fosse messa lì per spaventare qualche acquirente un po’ più furbo, da tornare in cerca di Mazzoni e compari? Questo, ahinoi, non ci è dato saperlo.

Arianna Falchi