Il testamento di Salimbene

Il 30 ottobre 1497, Salimbene Capacci, rettore del Santa Maria della Scala, cosciente di essere arrivato alla fine della vita, stroncato da forti e incurabili febbri (morirà il 3 novembre), fa redigere a ser Giovanni Antonio di messer Angelo, notaio dell’ospedale, il testamento contenente le sue ultime volontà. Salimbene Capacci era stato alla guida dell’ente senese per oltre quindici anni e durante il periodo della sua carica amministra l’istituto in modo da tale da rimediare alla difficile situazione finanziaria che il Santa Maria stava attraversando: molti beni dell’ospedale vengono alienati, come la grancia di Stigliano venduta nel 1489 per 4500 fiorini; ospedali redditizi e posti in luoghi strategici come la Francigena vengono sottoposti all’ente senese, come quello di Acquapendente (1484) e di Viterbo (1496).
Le clausole testamentarie prevedono che il salario dovutogli dall’ente per gli anni di servizio (200 fiorini l’anno per un totale di circa 2400 fiorini) resti allo stesso Santa Maria, che eredita anche una cappella presso Marciano. In cambio Salimbene dispone di essere sepolto nella chiesa della Santissima Annunziata e, se eventualmente fosse morto non più in carica, di portare la sua salma nella chiesa di San Domenico, nel sepolcreto di famiglia. Il secondo pensiero è rivolto alla moglie, Margherita Sozzini (figlia del celebre giureconsulto Mariano Sozzini), a sua volta rettrice dell’ala femminile dell’ospedale.

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Salimbene chiede al Santa Maria della Scala di mantenere a vita Margherita che continua ad esercitare le sue funzioni fino al 1512, anno in cui lei stessa muore. Dopo le esequie solenni Salimbene Capacci viene dunque sepolto nella chiesa dell’opsedale, di fronte all’altare di Santa Francesca Romana, come da suo desiderio. La tomba sarà riaperta al momento della morte di Margherita Sozzini che aveva chiesto di essere tumulata accanto al marito.

Maura Martellucci
Roberto Cresti