Il quartiere Conolly tra edilizia e terapia

In questo pezzo vorrei provare a raccontare le tante vicissitudini architettoniche dell’immobile Conolly che vanno in parallelo con le modalità assistenziali che lì dentro si applicavano.
Lo stimolo alla costruzione di un quartiere separato per i clamorosi, sia pure già pensato dal Livi (Direttore dal 1858 al 1873), fu portato a compimento da Ugo Palmerini (Direttore dal 1873 al 1880). Fu lui che indicò anche la collocazione più opportuna. La suggerì a mezza costa della collina dei Servi, quella che dalla Basilica scende giù fino all’Orto de’ Pecci, in quel periodo ancora tutta libera.
Le ragioni di questa scelta sono evidenti: tenere un po’ lontani e separati i malati più clamorosi, magari rumorosi e molesti. L’isolamento era probabilmente ritenuto utile in un doppio senso, lontano dal consorzio civile per non dare noia, ma anche per non aggiungere stimoli nocivi a menti spesso sovraffollate da sensazioni e percezioni. Comincia a farsi chiara l’idea assistenziale di fondo: teniamoli separati, tranquilli con un regime di vita simile a quello dei monaci di clausura e forse riusciremo a rasserenare le loro menti. Ed infatti la prima e originale costruzione era in qualche modo ispirata a quel modello che l’architetto Azzurri fece suo e sviluppò con un risultato che anche dal punto di vista estetico non era male. Si guardi la foto: che aria di nuovo e di lindore e di ordine nel pieno rispetto del disegno preparatorio! Si notano circa 10 cellette con il loro giardinetto, sul lato destro (quello dedicato agli uomini) ed altrettante sul lato sinistro dedicato alle donne. Risulta meno chiaro capire dove si demarcasse il confine tra le cellette dei due sessi, nella mezzaluna intermedia. La costruzione risulta inserita in piena campagna o quasi e il congegno costruttivo a panopticon doveva avere, per quei tempi, un’aria di grande modernità e avanguardia. Quando cominciò a funzionare pertanto nel 1877 il quartiere per clamorosi non prevedeva più di una trentina di posti letto (32 per la precisione). Da notare che tre cellette, quelle che in pianta portano il numero 7 erano dedicate alla sorveglianza, interponendosi in mezzo alle altre. Di fatto così, almeno in certi momenti, gli infermieri-sorveglianti finivano per condividere, almeno in certi momenti, la stessa vita dei malati.


Qualcosa cambiò quando cominciarono ad affluire al San Niccolò molti pazienti. La popolazione esistente, ormai proveniente da varie provincie, cresce ogni anno. Un incremento significativo avviene poi verso la fine degli anni Venti del Novecento quando cominciarono ad affluire anche pazienti provenienti dalla nuova Provincia di Viterbo, costituita nel 1927. I posti in generale non bastano più e l’ospedale è sottoposto a continue variazioni edilizie che tentano di adattarlo alle nuove situazioni. Così anche per il quartiere Conolly, dunque il reparto femminile fu smobilitato, le degenti spostate in un edificio vicino, il Chiarugi, e così aumentati i posti per gli uomini.
In questo periodo era Direttore D’Ormea ed era già cominciato il famigerato ventennio. Forse la necessità di posti derivava anche dalla imperante repressione che faceva passare spesso per matti gli oppositori del regime, sta di fatto che si cominciò a pensare ad un allargamento anche del quartiere Conolly. Non bastava più averlo dedicato solo agli uomini, bisognava proprio aumentare i posti. E lo si poteva fare solo in alto, aggiungendo cioè un piano al corpo centrale e ricavandone altri dormitori.
È in questa fase che il disegno costruttivo iniziale con le sue linee primitive comincia a perdersi. Insieme a quelle forse si cominciano a perdere anche certe linee terapeutiche. Riflettiamo: una cosa è avere a che fare con una trentina di soggetti gravi, cosa differente è se magari il poco personale in più deve stare con il doppio, il triplo dei pazienti. La possibilità di un rapporto con qualche caratteristica di umanità diminuisce e si sposta sempre di più verso una pura e semplice sorveglianza.
Un’altra modifica architettonica importante in tal senso è la creazione di fatto di un reparto detto Criminale. Lo si ottiene dotando di un unico tetto la semiluna di sinistra, che di fatto vede cancellata la piccola corte interna e rendendo quella porzione di edificio una sorta di prigione. Nello stesso tempo anche la semiluna intermedia subisce forti modifiche divenendo di fatto una unica grande sala che serve da “soggiorno” ai malati che potevano dormire nei dormitori del piano superiore, il cui numero aumentava, mentre diminuiva quello dei pazienti che erano tenuti nelle cellette.
Non si deve pensare a un grande miglioramento. Chi non ha mai visto 60 / 70 persone aggirarsi senza scopo alcuno in una sala sia pure grande, come quella, non ha l’immagine plastica di quella che è l’alienazione. Io l’ho visto e quello che mi colpì fu il rumore che pareva quello di un unico, enorme alveare impazzito.
Sempre in quel periodo cominciano ad essere fortemente trascurati gli spazi esterni, i vari giardinetti separati nella versione iniziale tra loro da un muretto, vengono di fatto uniti eliminandone la separazione e costituendo così una unica fascia che probabilmente rendeva più facile il controllo e la gestione dei buglioli. Insomma il cambiamento va nel senso di una certa cementificazione in alcune parti e di una semplificazione in altre. Dal punto di vista assistenziale ho l’impressione che si vada verso una certa perdita di funzioni.
In questo modo il Conolly arriva fino alla fine degli anni Settanta, quando ancor prima della legge Basaglia, che è del maggio 1978, viene chiuso in data 1° gennaio 1978, per le sue condizioni già un po’ fatiscenti e per la diminuzione costante dei degenti. Del resto, già dal 1966 esisteva un progetto di abbattimento del padiglione e la sua ricostruzione come un edificio a tre piani con 150 posti letto. Non arrivò il finanziamento statale richiesto e così non se ne fece di nulla. Nel 1975 invece il Conolly fu di nuovo oggetto di un progetto che voleva riconvertirlo in un centro sociale con Cinema per i degenti e servizio mensa per il personale. Firmò quel progetto l’ing. Luchini ma poi tutto si fermò solo perché arrivò prima la riforma sanitaria che acquisì alle Unità Sanitarie Locali tutto il patrimonio edilizio ospedaliero. Poi intervenne l’Università che lo tenne per diversi anni come sede di aule e di studi della facoltà di Fisica e Ingegneria.
Alla fine di questa breve fase universitaria comincia il degrado più grave della struttura che fino a poco tempo fa vedeva il tetto del corpo centrale in parte crollato e anche quello delle due curve panottiche lesionato. Se queste lesioni sono state (in parte) riparate, non si è posto mano però al resto delle cose da fare, tra cui, per esempio, lo sviluppo tumultuoso della vegetazione infestante che ha quasi cancellato la pavimentazione delle corti interne. Altro aspetto molto importante, stanno scomparendo molti degli intonaci delle cellette dove si trovano interessanti graffiti, testimonianza di vite perdute.
Nonostante tutto io credo che dopo la parziale azione di messa in sicurezza dei tetti operata dalla Asl Toscana Sud Est la ripulitura costante della vegetazione potrebbe ancora rendere possibile un utilizzo a vari fini del quartiere Conolly.
Insomma siamo ancora in tempo per salvarlo, ma bisogna fare in fretta!
Pertanto, dateci una mano con le vostre firme: firmate e fate firmare!!
Da qualche giorno è possibile firmare il modulo cartaceo presso il ristorante All’Orto de’ Pecci!

Andrea Friscelli