Il futuro del vigneto di Montalcino

Dare nuova vita ad antichissime viti, facendo rinascere da padri arcaici nuovi figli, incrementando il già ricco patrimonio varietale. È l’operazione di cultura viticola che potrebbe trovare in Montalcino un “luogo d’elezione” per la creazione di una sorta di “giardino della memoria della viticoltura”. “Il territorio di Montalcino è ricco di patriarchi della vite (piante con un’età dai 70 ai 100 anni) – spiega il professor Attilio Scienza, ordinario di viticoltura all’Università di Milano e uno dei massimi studiosi al mondo di storia della viticoltura – per questo e non solo, il terroir del Brunello non può prescindere dalla valorizzazione delle vecchie viti e si deve far carico di questo progetto mettendo a sistema un “giardino della memoria della viticoltura” di Montalcino. Un valore non solo storico, ma anche e soprattutto culturale”. Con queste parole il professor Scienza ha parlato di Montalcino e del suo terroir, nella presentazione del libro “Roma Caput Vini”, scritto da Negri e Petrini, oggi a Castello Banfi.

Questi impianti (ceppi originali di Sangiovese – Brunello – di 70/100 anni) hanno bisogno di una potatura conservativa, molto particolare, che può essere fatta da persone espertissime, come i “Preparatori d’uva”, da anni impegnati (in osservazioni e sperimentazioni) nei miglior terroir d’Europa (Borgogna inclusa): Marco Simonit e Pier Paolo Sirch, tecnici friulani che hanno definito il metodo di potatura alla base dell’unica “Scuola italiana permanente di potatura della vite”.

La nuova frontiera scientifica è in grado di allungare il ciclo di vita e la produttività dei vigneti per tutelare la qualità dei vini, l’interesse paesaggistico e la biodiversità dei vigneti. “Questa idea – spiega Jacopo Biondi Santi che, nella Tenuta Il Greppo, dove è nato nell’Ottocento il Brunello, ha viti di 80/100 anni – potrebbe rivelarsi molto importante per creare un legame profondo tra vino, luogo d’origine e patrimonio culturale. Ha anche un’importante valenza perché è in grado di creare dentro gli stessi territori delle denominazioni una differenziazione di prodotto”.

Molte cantine, a partire da Gaja in Piemonte o Bellavista (Gruppo Moretti) in Franciacorta, passando per i vigneti trentini recuperati nella Tenuta di San Leonardo o alle piante plurisecolari riportate a nuova vita in Irpinia dalla Feudi di San Gregorio, per arrivare da Caprai nel territorio del Sagrantino, hanno già compreso l’importanza delle cosiddette “viti monumentali” o “patriarchi”.