Dare parola ai “rinchiusi”: come si comunica la psichiatria?

Nell’anno appena trascorso l’editoria locale ha prodotto diversi libri che hanno avuto per soggetto il manicomio San Niccolò e la Psichiatria più in generale, ed anche in questo inizio del 2019 altri libri si sono succeduti. Si sono così ripetute le presentazioni di queste opere che hanno tra l’altro utilizzato “linguaggi” comunicativi diversi e vari. Dai testi di stampo universitario, ad alcuni di tipo più narrativo fino al fumetto sia pure nella versione “mista” della graphic novel. Inoltre, sono stati presentati anche filmati di lunghezza varia e piccoli spettacoli teatrali che hanno sempre avuto come soggetto la vita del vecchio manicomio e le vicende di chi, a vario titolo, ha vissuto quell’epoca. Come non ricordare poi la bella mostra che la Società di Pie Disposizioni ha organizzato nei propri locali?

È facile dire che la ragione di questo interesse sta nella ricorrenza di alcune date che venivano a cadere nel 2018: il bicentenario della fondazione del San Niccolò e il quarantesimo anno dalla Basaglia, ma questo spiega davvero tutto?

A mio parere no, le ricorrenze spiegano forse la frequenza ma non il risveglio di quello che è parso un genuino interesse intorno ai temi psichiatrici che per tanti anni sono stati silenti. Ma quegli stessi temi hanno avuto spesso la caratteristica di essere un po’ carsici e di saltar fuori di nuovo, a volte, un po’ a sorpresa.

E, come ci si dovrebbe chiedere quando si mette in cantiere un nuovo libro o comunque un’opera che “parla” ad un pubblico, quali scopi si sono prefissi autori, editori, finanziatori, ecc.? Forse quello di mantenere viva questa attenzione, rendendola più stabile?  

Alcuni dei testi hanno utilizzato, come già dicevo, il rigoroso linguaggio degli storici, in particolare degli studiosi di storia sanitaria, ma altri invece hanno preferito l’utilizzo di una divulgazione più “leggibile” e diretta dunque ad un pubblico più vasto. È giusto divulgare per mantenere alta l’attenzione su tali temi? Si spera così di attirare un maggior pubblico su tali argomenti? E di nuovo, perché?

Certo se, come si va dicendo in questi giorni, la storia è un bene comune, da parte di coloro che si oppongono al declassamento dell’insegnamento della storia nelle scuole superiori, è evidente che anche questa, quella del manicomio e della Psichiatria più in generale, è un pezzo di storia che non si può scordare. A Siena poi il manicomio ha voluto dire molto in termini di occupazione, di indotto, di ricerca scientifica (almeno fino ad un certo periodo), ma vorrei dire anche di tradizione popolare, per cui scordare questo vorrebbe dire buttare via un pezzo della nostra storia cittadina. Dimenticare quella storia, inoltre e soprattutto, vorrebbe dire fare un ultimo e definitivo sfregio alla memoria di tutti quei pazienti che in quel luogo sono stati reclusi e alla fine sono morti. Questo, è naturale, non solo per Siena, ma in tutta Italia.

È anche vero però che i più giovani, non avendo conosciuto quella realtà, forse pensano che non sia interessante. Lo si vede banalmente dalla frequenza del pubblico alle presentazioni che ricordavo prima, dove la maggioranza è costituita da persone anziane, dando la malinconica impressione di trovarsi in mezzo ad un incontro tra reduci. Questo dipende forse anche dai lessici che si sono usati? Può darsi che, se vogliamo che certe memorie durino e siano tramandate, sia necessario trovare anche i giusti linguaggi.

Il racconto di queste cose implica la sollecitazione dell’empatia e della pietas, e credo sia indiscutibile che di questo ci sia bisogno in un mondo in cui anche l’aggettivo “buono” con la semplice aggiunta del suffisso “ista” ha cambiato significato diventando un’offesa.

E, per lanciare un altro tema di non poco conto, mi chiedo anche se questi nostri interessi possono permettersi di essere sganciati dal presente e dal futuro di una disciplina come la Psichiatria che sempre di più si cimenta con temi drammatici e nuovi. Ed allora a che serve parlare di vecchie storie se ci dobbiamo confrontare con femminicidi e figlicidi sempre più frequenti, con il disprezzo dei disabili e con l’esibizione spesso sfrontata del proprio malessere anafettivo?

Ai tanti punti interrogativi che ho seminato nei righi precedenti vorrebbe provare a dare qualche risposta la serata che sarà organizzata all’Orto de’ Pecci il 30 maggio. In quell’occasione gli scrittori, gli editori ed i lettori interessati porteranno le loro riflessioni e tenteranno di dare le prime risposte.

Saranno presenti Francesca Vannozzi, Pietro Clemente, Costante Vasconetto e, speriamo, molti altri, coordinerà gli interventi Andrea Friscelli.

Il titolo che abbiamo pensato per questo incontro è: DARE PAROLA AI “RINCHIUSI” ed in fondo le domande che ci poniamo potrebbero essere ridotte a due: perchéecome si scrive o si comunica sulla Psichiatria passata e attuale.  

La serata si concluderà con una serie di interventi teatrali tratti dalle opere in questione.

Gli attori che li interpreteranno sono: Luca Di Giovanni, Bianca Friscelli e Andrea Laiolo.

Andrea Friscelli