Covid, la sfida della pandemia per Cuamm, Rossi: “In Africa formiamo le persone per vaccinare a tappeto”

“Per combattere la pandemia intendiamo mandare avanti un progetto sulla vaccinazione che prevede di organizzare e istruire gruppi di persone del posto in modo da portare avanti somministrazioni a tappetto, nel momento in cui arriverà un buon numero di dosi”. Con due decadi vissute tra l’Uganda e il Kenya insieme ai Medici con l’Africa Cuamm, il senese Paolo Rossi ne ha tante di storie da raccontare su quella che è la vita in questo continente.  Adesso però parla di quella che è diventata in poco tempo una delle sfide più importanti e di come deve essere affrontata. Nel cosiddetto ultimo miglio – regioni dove la sanità ha immense difficoltà ad arrivare, dove mancano beni di prima necessità e dove il caldo torrido toglie il respiro – poco più dell’1% della popolazione è vaccinato contro il covid. Un numero troppo basso, un dato che deve salire perché, come ricorda Rossi,  “senza una buona percentuale di copertura vaccinale in tutto il pianeta si formano le varianti”. Così la sua associazione ha deciso di muoversi in modo da aiutare chi vive lì. Il gruppo di Paolo opera ad Aber, in Uganda, “al momento in quella zona abbiamo il responsabile del progetto per iniziare la campagna di sensibilizzazione e insegnamento”, spiega. Il problema è che questa è una battaglia segnata da incognite e criticità: “per ora siamo fermi, ci sta bloccando la variante Omicron e non sappiamo se e in che modo partiremo”. Quale è però l’obiettivo di Medici – Cuamm? Fare tanta formazione, farla tra i volontari italiani, farla anche tra chi vive in quei luoghi. “Se non ci muoviamo ‘perdiamo’ i vaccini: in Congo sono state buttate oltre un milione e mezzo di dosi perché nessuno le somministrava”, continua Rossi che aggiunge: “In Africa un no-vax non è qualcuno che non si vuole vaccinare per un’opinione: qualunque tipo di intervento sanitario deve passare prima dai Capo villaggio, sono loro a proporre i nostri interventi alla popolazione e garantiscono quindi la nostra azione”. Quindi, prosegue, “c’è bisogno dei mediatori culturali capaci di approcciarsi e che conoscano anche l’importanza del vaccino”.

MC