Coronavirus, un anno fa il primo contagio in terra di Siena. Cosa è cambiato?

La febbre alta, il tampone, l’auto isolamento: un anno fa  – era proprio il 27 febbraio 2020 – la notizia fu data con una nota stampa ufficiale dalla Pianese ed era proprio un ragazzo di 22 anni, giocatore della società di calcio amiatina, il primo contagio da coronavirus di cui fu data notizia e fu anche il primo caso di ricovero al policlinico delle Scotte. A onor del vero, qualche giorno dopo (8 marzo 2020) sarebbe stato lo stesso giocatore della Pianese il primo guarito della Toscana.

Cominciò tutto così e i toni potevano allora sembrare adatti per un “C’era una volta…”, una trama forte e ricca più di antagonisti che di protagonisti, con il male cattivo, la paura per tutti noi e, con la paura, l’istinto di stringersi con forza l’un l’altro, con grande spirito di solidarietà e di umanità perché alla fine è questo il messaggio che c’è in ogni favola, seppur crudele: il bene vince sempre, l’amore è la forza più grande di tutte e “Andrà tutto bene”. Stop. Lieto fine con arcobaleno e grandi festeggiamenti.

La paura stimola l’istinto e la necessità di un’ancora di salvezza che ognuno di noi aveva ricercato negli stornelli che dalle case invadevano le strade della città, nella canzoni urlate insieme dalle terrazze, nel cercare di sostenere chi aveva più bisogno, ognuno per le sue possibilità. E questo, in effetti, è riuscito ottimamente. Non so voi, noi non abbiamo mai avuto dubbi sulla forza della rete sociale di Siena, delle sue Contrade, e di tutta la provincia. Tutto questo mentre eravamo chiusi nelle nostre case, cercando di lavorare al meglio o in attesa di ristori e cassa integrazione. Tutto questo mentre i reparti di terapia intensiva collassavano al Nord e da noi, nei nostri ospedali, i numeri reggevano e il personale anche, e continuano a farlo a Siena come in ogni provincia d’Italia perché la sanità pubblica italiana, quella fatta dalle persone, è un tesoro prezioso e insostituibile. Quella fatta dalla burocrazia o dalle campagne elettorali, molto meno. Ma non vogliamo aprire questa parentesi. Qui siamo solo a ricordare, noi con voi, un anno di vita che tutti abbiamo perso – quelle fasi cruciali per i ragazzi, che non potranno più avere ma anche gli anni belli degli adulti, bruciati letteralmente dalle preoccupazioni e dalle paure.

E così via, giorno dopo giorno, bollettino dopo bollettino, Dpcm, dirette, tempi serrati per noi, che abbiamo provato in tutti i modi a lavorare, pur con difficoltà, e tenervi aggiornati minuto per minuto su ciò che stava accadendo vicino a noi e nel mondo tutto intorno a noi.

Ritmi scardinati, vite strapazzate, bollettini di guerra, protezione civile e Dpcm, misure e contromisure, mezzi dell’esercito carichi di bare, scienza e ricerca che intanto sono andate avanti senza tregua e la nostra meravigliosa Siena e tutto il suo territorio che nella prima fase hanno rappresentato un’isola felice in cui il coronavirus, tutto sommato, non aveva lasciato grossi segni.

E’ venuta l’estate, le prime riaperture, le speranze, i nostri volti dietro mascherine che ci hanno tolto letteralmente espressività ed emozioni. Sono passati i mesi e siamo arrivati ad oggi. Attraverso una crisi di Governo, attraverso grandi discorsi politici che avrebbero voluto Siena al centro del mondo delle scienze della vita e della ricerca, più di sempre. Grandi fughe in avanti. Questo succedeva mesi fa, solo da qualche giorno sembra ci sia stato davvero un movimento in tal senso. E intanto la politica – che di politica intesa come scienza del governare la pòlis non ha niente ma ormai sono chiaramente solo interessi personali – ha giocato, come sempre, sulla nostra pelle. Come il virus. Per fortuna che il settore delle Scienze della vita è davvero eccellente, a Siena.

E infine sono arrivati i vaccini con un altro carico enorme di problemi e a un certo punto anche la strategia del premier britannico Boris Johnson, che a giugno riaprirà tutto e sul quale era pesata la scure mediatica e politica di tutto il mondo qualche mese fa, oggi è guardato con ammirazione e convinzione. Al pari del vaccino russo Sputnik.

E’ umano che si sbagli di fronte a qualcosa di troppo più grande di noi e ingovernabile, se non con il tempo.

Le scuole, chiuse o aperte e i ristoranti e tutto il resto delle attività (perché, scusate, non esistono solo ristoranti) e i colori delle regioni. E a Siena, la ferita enorme e profonda che non lascia intravedere sangue ma che fa male: l’assenza della vita delle Contrade, l’assenza del Palio. Ormai si va verso i due anni di stop. A guardarsi indietro, sembra un viaggio nel delirium tremens eppure ben poco ancora abbiamo imparato da tutto questo.

Perché siamo tornati in zona rossa e ripetiamo gli stessi errori. Servono, è chiaro, maggiori controlli ma non come gli sceriffi. Multe salate contro gli assembramenti. Andiamo avanti ormai per inerzia, stremati psicologicamente e anche economicamente in attesa di sapere se e quando ci saranno i vaccini, nonostante il premier Draghi abbia appena fatto la voce grossa con l’Europa chiedendo la cosa più logica che esista: brevetti per tutti e vaccinazione di massa.

Oggi, mentre scriviamo, i numeri dei contagi e dei ricoveri salgono. In un anno, Siena ha contato 7900 casi e 204 morti. Numeri che non possiamo permetterci se vogliamo uscirne. Perché intanto, il lieto fine dello scorso marzo è andato a farsi benedire e “andrà tutto bene” è un concetto sparito da tempo. E’ cresciuta la cattiveria, il buon senso non esiste e la miccia, se andremo avanti così, potrebbe pericolosamente esplodere.

Ad oggi, con tutto ciò che abbiamo perso e considerando quanto invece il tempo sia il bene più prezioso che abbiamo, posso solo dare un significato positivo a questa data, che coincide non solo con un anno dall’arrivo del coronavirus ma anche col ritorno a casa di un amico che è uscito dalla terapia intensiva dopo esserci entro lo scorso 11 gennaio e che, per tutto ciò che ha vissuto, rappresenta forse meglio di tutti il “caso senese”. Luca Guideri, che salutiamo con affetto e al quale facciamo tanti auguri per il percorso di recupero che dovrà affrontare, ha potuto riabbracciare la sua famiglia e ad aspettarlo, quando è arrivata l’ambulanza, c’erano gli amici di sempre, la sua Contrada. Niente, forse, più di questo, può arrivare al cuore e raccontare ciò che siamo e ciò che vogliamo tornare presto ad essere.

(La foto è del primo giorno di lockdown 2020)

Katiuscia Vaselli