Canoni di affitto e Covid: l’orientamento della Cassazione

Si prospetta un caldo autunno economico, e sul tavolo rimane la questione dei canoni di affitto da corrispondere, messi a dura prova dagli eventi straordinari e imprevedibili della pandemia e del lockdown, nelle relazioni contrattuali di tipo commerciale (e non solo).

L’interpretazione della Corte di Cassazione data a luglio nella Relazione tematica n. 56, getta un doppio faro su cui orientarsi per coniugare buon senso e soluzioni verso la direzione della “conservazione dei rapporti contrattuali esistenti”: da una parte l’economia, l’equilibrio del contratto; dall’altra la buona fede dei contraenti, correlati entrambi dal principio di equità.

In estrema semplificazione, l’economia dei contratti di locazione commerciale è stata stravolta dal Covid in misura tale da generare squilibrio economico tra le parti, ovvero tra la prestazione e la controprestazione, per causa non imputabile al debitore.

Il punto di fatto è se, l’eventuale impossibilità di pagare l’affitto, diventato eccessivamente oneroso, dovuta a mancanza di liquidità finanziaria e accentuata dalla chiusura obbligata dei locali e dalla recessione economica in corso o a venire, si possa considerare condizione permanente, con la conseguenza dell’unica strada di risolvere il rapporto.

In effetti, se pensiamo e ci auguriamo che ci sarà la ripresa economica, l’inadempimento potrebbe essere considerato temporaneo, quindi parziale in termini giuridici, e aprire la porta della conservazione del contratto, anche se, trattandosi di interessi privati, le parti devono riuscire a trovare un accordo soddisfacente per entrambe.

Tuttavia, l’inghippo al ragionamento è che, trattandosi di rapporti contrattuali di durata o ad esecuzione continuata o periodica, cioè, locazioni commerciali e affitti di attività interessate dal lockdown, in concreto l’affittuario continua a godere del bene locato, anche non avendo gli stessi vantaggi di prima, poiché si è ridotto fortemente il fatturato. Quest’ultima circostanza rientra nel rischio di impresa, in qualche modo, e non può penalizzare la controparte, cancellando l’introito economico sul quale contava.

Se il Codice civile viene in soccorso riconoscendo il diritto a coloro che reputano la prestazione divenuta eccessivamente onerosa di chiudere il rapporto senza eccesso di aggravio economico, come rileva la Cassazione, “l’emergenza non si tampona demolendo il contratto”. La legge, però, non prevede che scatti automaticamente un adeguamento delle condizioni contrattuali, a causa di sopravvenienze non volontarie, intervenute dopo la conclusione dello stesso, al fine di conservarne l’equità originaria.

In conclusione, se le parti non si accordano in privato nel rivedere i termini contrattuali, l’unica via rimane quella di ricorrere al Giudice, che potrà integrare e correggere il rapporto contrattuale diventato iniquo, sostituendosi ai contraentii, tramite una sentenza che tenga luogo dell’accordo di rinegoziazione non concluso.

Attenzione, rinegoziare è un atto suggerito da ragionevolezza e buona fede, riconsiderando il contesto non prevedibile inizialmente e apportando condizioni più “giuste” alla luce dei fatti sopravvenuti. Per la Cassazione rimane centrale “la valutazione, da parte del giudice, dell’attività di contrattazione svolta dalle parti prima che il processo rinegoziativo si interrompa, potendo residuare da esso spiccati elementi per decidere”, ovvero la condotta dei contraenti.

Il riferimento normativo da agire è il ricorso all’articolo 2932 del Codice civile, in virtù del quale, non si assicura che la parte che subisce la sentenza adempia le nuove condizioni da essa stabilite, ma si consente, nel caso in cui essa si rifiuti di rispettarle, una “commisurazione agevole e maggiormente attendibile del danno risarcibile”.

Questi tempi richiedono comportamenti di correttezza e di sensibilità straordinarie da parte di tutti.

Mai come adesso, conservare, proteggere, significa applicare buon senso ed evitare di vedere le vie delle nostre città svuotate dalle attività commerciali che ne rappresentano vitalità e identità.

Maria Luisa Visione