Banche: il gioco è duro anche per i grandi

Documento di Economia e Finanza

Questa volta è HSBC, la maggiore banca europea ad annunciare un maxi piano di ristrutturazione e di ridimensionamento, a seguito di utili negativi. Un’impresa di respiro internazionale che taglierà da qui al 2022 il 15% dei dipendenti, lasciando a casa 35mila posti di lavoro. Numeri da giganti per banche giganti che non sono immuni da crisi miliardarie. 

In uno scenario italiano che vede i primi decisi segnali di aggregazione bancaria il piccolo è destinato a scomparire?

Sembra proprio che la strada più battuta per migliorare i bilanci bancari sia quella della riduzione dei costi, mentre la via dell’aumento dei ricavi nell’attuale panorama economico, regolamentare e di mercato risulta poco praticabile.

Succede un po’ come accade nelle vie delle città in cui sono scomparse le botteghe artigianali sostituite prevalentemente da attività commerciali in franchising. Adattarsi al nuovo contesto si traduce in necessità di rivedere modelli, dimensioni e assetti proprietari per accrescere la capacità di competere sul mercato.

La banca tradizionale lascia il passo perché non è più in grado di generare reddito soppiantata dalla tecnologia e dalla velocità dei pagamenti digitali: costa troppo nel piccolo. Esattamente, il rapporto tra costi e ricavi è in media del 72% per le piccole banche tradizionali, 6 punti percentuali in più rispetto ai grandi gruppi.

Le regole in termini di bilanci, però, sono sempre le stesse per tutti perché la chiave è la sostenibilità nel lungo periodo e i livelli adeguati di capitale. E con queste regole non si discute. Riduzione delle spese e razionalizzazione della rete distributiva diventano, per chi si trova in difficoltà, il primo passo obbligato.

Con la riforma del credito cooperativo siamo passati a 54 gruppi e 100 banche individuali, contro gli 81 gruppi e le 499 banche individuali del 2008 (fonte intervento Governatore Visco 26° Congresso ASSIOM Forex).

Quindi si ragionerà sempre di più in ottica di concentrazione e di scalata azionaria, senza distinzioni.

Sul fronte, invece, dei crediti deteriorati, l’indirizzo prevalente convergerà verso lo sviluppo di un’industria esterna per la loro gestione, dati i tempi di recupero lunghissimi. 

Inoltre, fermo restando i limiti esistenti all’impiego di denaro pubblico nei salvataggi bancari, siamo alle porte sul recepimento di nuove regole europee che dovrebbero entrare in vigore gradualmente dal 2022 al 2027, ad oggetto la fissazione di rinnovati standard prudenziali, tanto che le banche italiane hanno già iniziato a prepararsi, sotto l’ombrello della competitività. (Recepimento Final Based 3).

Tuttavia, neanche i grandi sono esenti da un ingranaggio che continua ad allontanare sempre di più le banche dall’economia reale: esse non sembrano proprio più capaci da sole di finanziare la crescita, nonostante le economie di scala e la stretta vigilanza prudenziale della Banca centrale.

La conclusione la lascio al lettore. Io credo che questo scollegamento tra banche ed economia reale non sia un bene, né per i piccoli, né per i grandi.

Maria Luisa Visione