“A te o Signora, le sorti della nostra gente e le chiavi dei nostri cuori”

Ebbene sì, è passato un anno esatto da quel 15 marzo 2020 quando l’allora Arcivescovo Augusto Paolo Lojudice (oggi Cardinale), insieme al sindaco Luigi De Mossi, donò, ripetendo un gesto tanto significativo quanto raro raro nei secoli: il dono delle chiavi della città alla Madonna. Non è mai stato un gesto per quanto simbolico, s’intende, ma pregnante di significato, sottovalutato né “svalutato” nei secoli. Si contano sulla punta delle dita le volte in cui le autorità civili e religiose si sono trovate, l’una a fianco all’altra, davanti all’Advocata Senensium, alla Madonna del Voto, a colei che rappresenta la patrona dell’antico stato senese, ma, di fatto, tutti noi la sentiamo come nostra “garante”. La prima volta era il 1260. Ed era la vigilia della battaglia di Montaperti. I fiorentini erano accampati così vicini da “sentirne il respiro”, erano alle Ropole e i senesi si mobilitano: politicamente (convocazione del Consiglio Generale), militarmente (reclutamento lampo di truppe); economicamente (e qui molto ci misero i Salimbeni). Poi l’offerta delle chiavi alla Madonna per impetrarne la protezione in una situazione così perigliosa, come atto conclusivo di una fantasmagorica processione di massa.

La cerimonia di offerta delle chiavi di una città alla Madonna è, però, un gesto che gli storici attribuiscono a qualche decennio dopo Montaperti. Quindi è possibile che sia stato ben conosciuto a chi ha scritto le cronache della celebre battaglia (tutte, non a caso, redatte parecchi decenni dopo), quindi forse questo primo episodio non è “vero”, ma cambia qualcosa nell’immaginario senese?

Poi, nei secoli, le chiavi sono state poste varie volte nelle Sue mani, nei momenti in cui Siena si è trovata ad affrontare i momenti cruciali della sua storia.

Nel museo delle Biccherne, nell’ Archivio di Stato di Siena andate ad ammirarne una delle meno conosciute. E’ datata 1483 e si intitola “Offerta delle chiavi della città alla Vergine”. E’ un momento particolare quello che affronta Siena nella seconda metà del XV secolo: c’è stata la giornata di Poggio Imperiale, l’assedio e la presa di Colle Val d’Elsa che sebbene festeggiata come una vittoria, è alquanto effimera: il sovrano di Napoli Ferrante I e Firenze, infatti, stipulano la pace solo dopo un anno (siamo nel 1481) così Colle torna a Firenze e i senesi devono lasciare il castello valdelsano. E’ stato l’unico significativo sfondamento della delimitazione stabilita nei primi anni del ‘200. Ed è durato un soffio: la frontiera si richiuderà alle loro spalle e fino alle riforme amministrative post-unitarie Siena non rimetterà più piede nella Val d’Elsa. Intanto nel difficile governo di Siena è sempre più arduo trovare un equilibrio istituzionale: cambiamenti, rivolgimenti, subbugli. E tutti seguiti da estromissioni di vinti e riammissioni di neo-vincitori pro tempore, in un vai e vieni di Monti, singole personalità, famiglie, consorterie, tutte alla ricerca di una desiderata egemonia personale. Per questo, nel 1483, si ritiene necessario offrire le chiavi di Siena alla Vergine per sancire, di fronte a Lei, la tanto cercata riappacificazione tra i Monti cittadini. La cerimonia si svolge all’interno del Duomo, davanti l’altare della Madonna delle Grazie, alla presenza dell’Arcivescovo e degli esponenti delle principali fazioni politiche, raccolte nelle grandi consociazioni dei Monti, da quell’anno appunto unificati, come si legge nella didascalia della stessa Biccherna, nella “apprexentatione delle chiavi quando tutti quattro e Monti s’adusseno ad uno”.

La pacificazione, però, fu di breve periodo: un nuovo colpo di Stato, il 22 luglio 1487, porterà all’occupazione delle istituzioni. Poi arriverà Pandolfo Petrucci. Ma questa è un’altra storia.

Si arriva al 1526. L’immagine della Vergine come “Immacolata Concezione” viene posta sui gonfaloni della milizia senese che, durante la battaglia di Porta Camollia, sconfigge la milizia imperiale e quella pontificia. Sugli stendardi campeggia la scritta: “Per Immaculatam Virginis Conceptionem de inimicis nostris libera nos Deus noster”. La tradizione vuole che sia stata la gentildonna senese, Margherita Bichi, vedova e mantellata francescana, a convincere il Priore del Concistoro, Giovanni Del Rondina, ad affidare il 22 luglio di quell’anno (lo scontro avverrà il 25 luglio) le chiavi della città di Siena alla Madonna. A vittoria ottenuta, sui “vessilli trionfali della Patria” vengono ricamati questi versi: “ Voi, Donna del Ciel, voi foste quella, / che liberaste noi con poche squadre, / Per far fede quaggiù, che il primo Padre / Non peccò in Voi tutta graziosa, e bella”.

Ed ecco un’altra “annataccia” (anzi qualcosa di più): siamo nel marzo del 1554 (in stile senese: per oggi è il 1555), Siena è stremata da mesi e mesi di assedio. Si sente nell’aria che la fine (qualunque essa sia) è vicina. Il 24 marzo è domenica: vigilia del nuovo anno e “Vigilia dell’Annunziazione della beata gloriosa Vergine Maria” così, racconta Alessandro Sozzini nel suo Diario dell’assedio; tutte le più alte autorità cittadine e religiose si dirigono verso il duomo con “lo stendardo di Nostra Donna, ed in un bacino d’argento le chiavi delle porti della Città” e finita la Messa “fu per il Priore di Concistoro (Girolamo Tantucci, ndr.) presentato il bacino con le chiavi della Città alla gloriosa Vergine Maria, Avvocata della Città di Siena, con alquante parole onorate”. Tantucci disse, infatti: “Chiudete con esse le porte di questa Patria alla guerra, apritele alla pace; serratele a’ vostri e nostri nemici, apritele a’ nostri amici; chiudete le menti di tutti i cittadini alle pestifere discordie, apritele all’unione, acciocché i danni ricevuti dagli odii, si emendino, con l’introduzione dell’amore”.

Purtroppo fu tutto inutile, l’assedio ebbe termine dopo poche settimane e Siena “vinta ma non doma”, fu costretta a scendere a patti con l’Impero. Finisce qui, di fatto, il medioevo senese e si apre una nuova epoca, che poi non sarà così terribile, ma sarà diversa, come accade dopo ogni catastrofe, quando il presente è destinato a cambiare e reinventarsi in un futuro che non avresti immaginato. Inizia l’epoca che sarà caratterizzata dal governatorato mediceo.

Poi il balzo temporale è enorme: è il 18 giugno 1944, si celebra la funzione della Domenica in Albis, e le autorità e il popolo si inginocchiano davanti all’altare della Madonna del Voto per invocarne la protezione di fronte alle incursioni aeree che si fanno sempre più frequenti. Tutta Siena è lì. Non si fa alcuna processione solenne, ma dentro la cattedrale, presenti il labaro del Comune, del Magistrato e le bandiere delle 17 Consorelle con i Paggi Maggiori, il Podestà, Guido Socini Guelfi, legge l’atto di donazione (firmato dallo stesso Podestà e dal Rettore del Magistrato delle Contrade, Guido Chigi Saracini), redatto in tre copie una delle quali viene deposta in un’urna che contiene anche le chiavi simboliche della città, urna posta sull’altare della Madonna del Voto (le altre due copie vengono portate in Curia e in Comune). E l’Arcivescovo impartisce la benedizione. Con l’esercito che si avvicina alle mura.
Questi quattro gesti solenni di offerta della Città alla Vergine Maria sono anche visibili e mirabilmente rappresentati nel bronzo, scolpito da Vico Consorti, della “Porta della riconoscenza”, la porta laterale della Cattedrale che fu voluta e inaugurata il 16 agosto 1946 dal Conte Guido Chigi Saracini, in ringraziamento dello scampato pericolo della guerra.

E poi il 15 marzo 2020.
E poi, in ricordo, il 14 marzo 2021.
“O Maria la tua Siena difendi, per lei prega benigna il Signor”.

Maura Martellucci
Roberto Cresti