501 anni dalla morte di Raffaello: la sua ‘impronta’ nella Libreria Piccolomini

Il 6 aprile del 1520 è Venerdì Santo e, a Roma, muore, a 33 anni, Raffaello di Sanzio. Raffaello era nato, vuole la tradizione un altro Venerdì Santo, quello del 1483 (ma la data è incerta, alcuni storici sostengono per far coincidere . Qualcuno lo ha definito un giorno ‘da predestinato’. Sulla sua vita molto si è detto e scritto, soprattutto si sarebbe dovuto fare, e speriamo di poter vedere (e ancora maledetto virus), attraverso le tante iniziative che dovevano essere a lui dedicate.
Raffaello e Siena. Molto più giovane di Bernardino di Betto Betti, il Pinturicchio (o Pintoricchio), Raffaello è tuttavia legato da amicizia e da rapporti artistici tanto che il giovane talento venne nella nostra città per lavorare a quella ‘meraviglia’ che è parte della nostra Cattedrale. Già Giorgio Vasari ci dice che Raffaello dipinse uno o più cartoni preparatori della Libreria Piccolomini (voluta da Francesco Todeschini Piccolomini, papa Pio III, in onore e per riconoscenza dello zio Enea Silvio Piccolomini, papa Pio II), soprattutto per l’affresco che rappresenta “Enea Silvio Piccolomini parte per il concilio di Basilea”. Ora un ‘cartonetto’, oggi conservato agli Uffizi a Firenze, che raffigura proprio la “Partenza di Enea Silivio Piccolomini per Basilea”, è certamente autografo di Raffaello e conferma la sua collaborazione alla Libreria. Di Raffaello rimangono anche una serie di disegni preparatori per quell’ affresco e per altri (siamo nell’inverno 1502), fatto che dimostra come Raffaello non si sia limitato a collaborare alla prima delle storie della Libreria, ma, forse, almeno a tutte quelle della prima parete. Come ha giustamente ha osservato Alessandro Angelini in un recente convegno dedicato alla Libreria Piccolomini (era il 27 febbraio 2020), l’intelligenza di Pinturicchio e del committente fu quella di capire che, benché giovane, il Sanzio superava di gran lunga (per talento ed ingegno) il capobottega e di affidargli l’invenzione delle storie. Quando poi Pinturicchio tradusse in affresco l’invenzione del giovane non poté che sacrificare l’incanto di quel cartonetto, che va oltre la realizzazione, per quanto splendida. Ma, a quel punto, Raffaello era già da tempo partito per le città dell’Umbria e poi per Firenze, dove si stabilì a partire dal 1504, e a Siena non avrebbe più fatto ritorno.
Tuttavia, anche se è cosa nota, forse per ringraziare il giovane talento, riconoscergli il contributo dato alla creazione del ciclo di affreschi e per sancire un rapporto che, potremmo definire, fu più di amicizia che altro, nel quadro che raffigura la scena con la “Canonizzazione di Santa Caterina da Siena”, tra il pubblico degli ordini religiosi, in basso a sinistra, ci sono due figure con le quali, ormai, si identificano, un giovane Raffaello (con la calzamaglia rossa) e, di fianco, lo stesso Pinturicchio (con il berretto rosso).
E siccome ricordiamo il giorno della sua morte concludo con alcune frasi della lettera che Pandolfo Pico della Mirandola, da Roma, scrive a Isabella d’Este: “De questa morte li cieli hanno voluto mostrare uno de li signi che mostrorno nela morte de Christo quando lapides scisi sunt; così il palazzo del Papa s’è aperto de sorte che ‘l minaza ruina, e Sua Santità per paura è fugito dale sue stantie et è andato a stare in quelle che feze fare Papa Innocentio. Qua d’altro non se parla che de la morte de quest’homo da bene, quale nel fine deli soi 33 anni ha finito la vita sua prima; ma la seconda, ch’è quella de la Fama, la quale non è subietta a Tempo, né a Morte, sera perpetua, sì per le opere sue quanto per le fatiche de li dotti che scriverano in laude sua, ali quali non gli mancharà subietto”.
Maura Martellucci
Roberto Cresti