Siena di mille cose è piena – La pieve di Lamula, un nome “misterioso” e i simboli che scacciamo il male e innalzano a Dio

Idee per la famigerata “scampagnata” di Pasquetta? Se siete in zona Amiata non potete perdere la pieve di Santa Maria a Lamula. Posto ai piedi della collina di Montelaterone, nel comune di Arcidosso.

Fermi, niente mano alla pistola (anche perché è Pasqua e dobbiamo essere tutti più buoni), perché Arcidosso (oggi provincia di Grosseto) faceva parte dell’Antica Repubblica Senese tanto che il vessillifero di questo paese amiatino sfila ancora nel Corteo Storico.

Questo magnifico tempio, immerso nel castagneto omonimo e poco lontano dal fiume Ente, è attestato fin dall’anno 853 quando l’imperatore Ludovico II ne confermò il possesso come “cellam S. Mariae ad Lamulas” al monastero benedettino di San Salvatore (anche il vessillifero di Abbadia San Salvatore sfila nel Corteo Storico). La parola “lamule”, di origine latina, deriva, probabilmente, da lame o strisce di terreno paludoso posto vicino ad un corso di acqua e Lamule o Lamole era il nome anche del villaggio che sorgeva in quest’area.
C’è però una nota tradizione popolare (e non poteva mancare) secondo la quale il termine “lamulas” sarebbe legato ad un episodio particolare. Si racconta ancora che una “mula” si inginocchiò all’ingresso della chiesa lasciandovi miracolosamente le sue impronte che sono visibili ancora oggi. Da qui il motivo per cui il nome della pieve in alcune fonti lo troviamo scritto come “La Mula”.

Non vi fermate alla facciata e al campanile che sono stati visibilmente rifatti nella seconda metà dell’800, ma entrate e vi troverete di fronte ad un romanico puro e particolare. L’edificio si sviluppa su pianta basilicale a tre navate; l’interno è volutamente irregolare nella pianta strutturale di base e del soffitto perché, talvolta, la simmetria era vista come staticità e morte mentre l’asimmetria rappresentava la vita, il movimento e l’evoluzione. Anche le colonne ubbidiscono alla voluta “trasgressione” dell’ordine architettonico e ognuna è diversa dall’altra, così come i capitelli e, probabilmente, furono ricostruite dopo l’incendio perpetrato dai senesi nel 1264 in una delle tante guerre dell’epoca.

Nell’architettura medievale la colonna simboleggia il punto di arrivo e di partenza nel percorso che il fedele compie verso Dio e la salvezza. E ciascuna, nella propria unicità, adempie alla funzione simbolica di mediatrice tra la base del tempio e il soffitto, cioè fra la terra e il cielo. Nella pieve di Lamula le rappresentazioni dei capitelli iniziano sui due pilastri che introducono al presbiterio con due cavalieri armati a sua protezione e queste e le altre immagini, solo apparentemente rozze, orride e grossolane sono invece tipiche espressioni del “romanico” ricche di significati e simbolismi.

La loro provenienza risale da culture antiche e, spesso, pagane così, assieme a volti e maschere di ispirazione celtica, di cui una di probabile origine etrusca, troviamo raffigurazione di foglie d’acqua e sfere che rimandano all’arte egizia copta quindi teste di ariete, immagini di serpenti, di una piccola lepre, di cavalieri che lottano contro fiere mostruose, di un giocoliere di belve feroci e animali orripilanti. E tutte sono state poste lì, si dice, per scacciare e allontanare gli spiriti maligni da quel luogo sacro e ricordare a chi visita Lamula che, nella vita, bisogna essere vigili e combattere le forze del male.

Per cui buona visita e Buona Pasqua di serenità a tutti.

Maura Martellucci

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