Nicoló, Duccio e il senso delle cose: vicolo di Finimondo

Nicolò, Duccio e il senso delle cose è la rubrica settimanale di giornalismo narrativo su Siena proposta da SienaNews. Gestita da due giovani, Nicolò Ricci per la fotografia e Giada Finucci per la scrittura, vuole portare lo sguardo delle nuove generazioni sulla città. Il suo scopo è quello di valorizzare luoghi di Siena attraverso la fotografia e il racconto.

Sono le venti di sera e fuori c’è ancora luce. Esco da Via di FieraVecchia, le cartelle di differenti pratiche lavorative sulle spalle e un’espressione affaticata sul volto. Dal fondo dello zaino in cui volevo relegarlo lo squillo del telefono cerca di raggiungermi, nemmeno a quest’ora mi lascia solo con me. Rispondo. Devo. Cerco di dar attenzione alla voce del mio collega, che illustra le caratteristiche e le richieste del nuovo progetto estero da seguire.

Mi sforzo di cogliere qualche parola dal fiume inarticolato del suo discorso che non voglio seguire, che faccio fatica a seguire a quest’ora. Il mio sguardo intanto si sofferma su una ragazza, visibilmente agitata, al centro di Piazza Santo Spirito. A fianco della panchina, un passeggino vuoto. Urla “Lara”, la voce insicura e incredula. Non faccio in tempo a riattaccare, che me la trovo davanti: “Puoi aiutarmi?” una mano nei capelli e l’altra appoggiata sul fianco.

“Certo”, rispondo, un po’ imbarazzato.

“La mia bambina, la mia bambina – inizia a dire, la testa che da sola disegna tanti “no” nell’aria – Mi sono distratta un attimo”.

“La mia bambina”, ripete ancora.

Interrogo anche io la piazza vuota, cercando Lara. Dietro la finestra al primo piano del palazzo sulla destra, una signora anziana ticchetta sul vetro. Vuole indicarmi la facciata del carcere. Mi avvicino alle sbarre della porta d’ingresso. In alto a destra noto un’insegna di marmo: “Vicolo di Finimondo”.

Mi affaccio e proseguo incuriosito, oltrepassando bassi portoni di legno e vasi colorati in mezzo alla strada. Le pareti sono alte e strette, la metà di mattoni rischiarata da un fascio di luce. Davanti all’ultimo portone, una bambina con i capelli corti e ricci tiene lo sguardo immobile davanti a sé. “Lara?” La chiamo. Non si volta. Mi indica il cortile che chiude il Vicolo.

“Finisce qui, il mondo?” pronuncia, la voce acuta e vanitosa.

“Un tempo, sì – le rispondo – quando qui iniziavano le campagne”. Vorrei mettermi a raccontare, immaginare insieme a lei quanto bello avesse potuto essere allora avere dei confini oltre i quali non fosse consigliato andare. Delle ore oltre le quali il lavoro finiva.

Sua madre arriva trafelata, la alza da terra e la stringe fra le braccia. La tiene forte, da far male, come qualcosa che la nostra mente aveva, senza poterlo accettare, contemplato di poter perdere.

“Ma dove vai, senza di me?” pronuncia fra uno schiocco di baci e l’altro sulle guance paffute. Preda che rivendica il suo diritto ad esplorare, guardo Lara dimenarsi fra i tentacoli materni. Le saluto, mi allontano. Percorro a ritroso il vicolo, il telefono squilla di nuovo. Rispondo, e con una stretta al cuore in un attimo torno dalla fine al centro del mondo. Mi dirigo verso casa. Fra poche ore, ho l’aereo.

Duccio

Testo di Giada Finucci

Foto di Nicolò Ricci