Nicoló, Duccio e il senso delle cose: via del Rialto, il test Cafiero

Nicolò, Duccio e il senso delle cose è la rubrica settimanale di giornalismo narrativo su Siena proposta da SienaNews. Gestita da due giovani, Nicolò Ricci per la fotografia e Giada Finucci per la scrittura, vuole portare lo sguardo delle nuove generazioni sulla città. Il suo scopo è quello di valorizzare luoghi di Siena attraverso la fotografia e il racconto.

Via del Rialto è silenziosa. La sera, in particolare. Testa china sullo schermo, accanto a me cammina mesto chi rientra a casa da lavoro. Alzo lo sguardo, una signora dalla finestra allunga le braccia per recuperare la biancheria stesa al filo.

D’un tratto, da Vicolo di Coda scorgo salire una figura che mi somiglia: medesima statura, capelli ricci ma lasciati crescere più miei, giacca attillata e pantaloni a zampa di elefante che coprono le scarpe di vernice nera. Appartiene a un’altra epoca ma riconosco il suo camminare impacciato, che come me non guarda dove mette i piedi. Sembra far attenzione solo al braccio che con cura regge sotto il suo: quello della signorina che gli cammina accanto. Mi soffermo e accosto con aria indifferente sotto al portone di un’abitazione: voglio vedere dove vanno. Passata la curva, inchiodano davanti alla porta di un locale. Sull’insegna c’è scritto “Vinaio Da Cafiero”.

“Sicura?” – La bocca di lui si avvicina all’orecchio di lei quasi a sfiorarlo, e sul labiale mi sembra di leggere – “Non devi farlo, se non vuoi”. Dallo spiraglio della porta socchiusa si odono canti e chitarre intonati all’unisono e incrinature di bicchieri che si scontrano dimentichi e incuranti della loro fragilità. La tesa rossa del cappello di lei annuisce, convinta la sua mano esile agguanta con forza la maniglia della porta cigolante. Li lascio entrare, sistemarsi, salutare gli amici abituali di lui. Dopodiché, guardingo mi avvicino anch’io all’entrata e dal vetro appannato delle finestre li seguo muoversi con lo sguardo.

Si fermano al primo tavolo, quello sociale. Lui la accompagna con lo sguardo come una perla che brilla troppo, per quel posto di pescecani che è solito frequentare. Meravigliato, la osserva muoversi a suo agio fra ex carcerati, affascinanti signore uscite dalla casa di tolleranza che lusingano uomini già troppo brilli, ideali anarchici e rivoluzionari che da una parte all’altra del tavolo prendono forma e in questa stanza ubriaca e fumosa appaiono finalmente possibili. Acciughe e uova da sgusciare avanzano sui piatti di alluminio, il barboncino Cilla scodinzola fra i piedi elemosinando dai clienti un boccone di pane.

Fino agli anni Ottanta Via del Rialto ha intonato, brindato, reinventato di note, amicizia e ideali le sue notti. Mediante il “test Cafiero”, il vinaio era anche luogo di collaudi: giovinetti come me vi portavano le loro fidanzate per provare che non fossero fatte solo a misura d’ambiente altolocato ma amassero bere e cantare con gli amici, quando ve ne sarebbe stata l’occasione. Se fossero sopravvissute all’atmosfera rozza ma conviviale di Cafiero, si sarebbe per loro spalancato l’accesso alla navata della Chiesa allestita di fiori per il matrimonio.

Saluto la figura che, cinquant’anni fa, avrei potuto essere. Là dentro, da Cafiero, sta andando tutto bene. I due sono in piedi, un bicchiere ciascuno da gottino in mano, il naso rosso e le gote paonazze. Sbilenchi cantano, brindano e abbracciati ballano al ritmo di un canto popolare. Mi viene quasi voglia di entrare e darmi un colpetto sulla spalla: il me nato in anticipo, era proprio bravo a scegliere quella giusta.

Duccio

Testo di Giada Finucci

Foto di Nicolò Ricci

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