Nicoló, Duccio e il senso delle cose: via del Refe nero, lo sguardo di Federigo

Nicolò, Duccio e il senso delle cose è la rubrica settimanale di giornalismo narrativo su Siena proposta da SienaNews. Gestita da due giovani, Nicolò Ricci per la fotografia e Giada Finucci per la scrittura, vuole portare lo sguardo delle nuove generazioni sulla città. Il suo scopo è quello di valorizzare luoghi di Siena attraverso la fotografia e il racconto.

La sentite anche voi, quest’estraneità? Salendo o scendendo Via del Refe Nero, percepisco un’atmosfera ovattata. Nascosta fra due vie principali, Via dei Rossi e Via del Giglio, il Refe Nero si offre come collegamento fra due strade importanti, quotidianamente calpestate da migliaia di suole indaffarate e invase dal rumore dei motori. Con timidezza cela la sua bellezza agli sguardi disattenti e indiscreti, a chi passa con in testa solo la destinazione; mostrando loro il suo lato più funzionale, quello di passaggio.

Io invece mi sono convinto che in Via del Refe Nero si nasconda il dubbio, la messa in discussione del conosciuto, la costruzione di nuove storie per decifrare la realtà. Sarà per questo, che Federigo Tozzi abitava qui? Deriva forse dall’aria che qui si respira, lo scardinamento di ogni regola narrativa e la sua prosa così fuori dal comune?

Imbrigliato a una figura paterna che occupava tutto lo spazio, con ali troppo fragili per volare da solo, Federigo nelle sue opere dipinse una serie di eterni adolescenti. Personaggi “inetti”, come sono stati definiti dalla critica, che situano la loro esistenza nel mondo del pensiero ma per cui la vita d’azione è una meta agognata quanto lontana. La giovinezza dei vent’anni è il periodo in cui tutto è ancora possibile, presente e a disposizione sul tavolo della vita ma ancora niente è. È a questa fase a cui i personaggi di Tozzi rimangono ancorati: allo spuntare lieve della soggettività, continuamente ridiscussa e mai imposta definitivamente.

Scopo della narrativa di Federico è “registrare qualunque misterioso atto nostro”: per lui la trama non ha troppa importanza, l’importante è il susseguirsi di percezioni che ci abitano. Tagliati gli eventi eclatanti, le sue lenti ingigantiscono dettagli e piccolezze prima inosservati. Reduce del suo insegnamento, soffermo la mia attenzione sul palazzo del Diavolo Rosso. A Federigo non devono certo esser passi inosservati i dettagli che costellano l’edificio: gli stemmi in marmo sulla facciata, all’angolo il macabro portaluce con un teschio all’interno.

Il rapporto di Federico con Siena, lo sappiamo, è stato particolare: città natale mai accettata, mai sentita come sua, eppure sempre presente e vicina quando si trattava di scrivere. Ai suoi personaggi che camminano per le vie del centro capita di sentire che le pareti dei palazzi “vengano loro addosso”: le mura secolari sotto lo sguardo di Federico si animano, gli stati psichici profondi escono da sé e si proiettano sul circostante.

Dietro quale portone sia la sua vecchia stanza in affitto, è un mistero. Mi soffermo in piedi di fronte a uno minuto, di legno, immaginando possa essere questo: qui, accolgo in me la sofferenza immensa di questo scrittore, la percezione di non appartenere faticosamente trasformata in creatività. Il suo sguardo minuzioso, attento, vitalizzante che sotto la penna ha saputo creare una Siena nuova e ancora attuale.

 

Duccio

Testo di Giada Finucci

Foto di Nicolò Ricci