Nicoló, Duccio e il senso delle cose: Santa Caterina, la saldezza del vuoto

Nicolò, Duccio e il senso delle cose è la rubrica settimanale di giornalismo narrativo su Siena proposta da SienaNews. Gestita da due giovani, Nicolò Ricci per la fotografia e Giada Finucci per la scrittura, vuole portare lo sguardo delle nuove generazioni sulla città. Il suo scopo è quello di valorizzare luoghi di Siena attraverso la fotografia e il racconto

Lo scopo dell’uomo occidentale, oggi, è avere. Accumulare sempre di più. Riempire la propria casa di oggetti, la pancia di cibo, la testa di informazioni. Solo avendo si è. Quando questo pieno strabocca da me, vado a trovare chi ha fatto del vuoto la propria essenza.

La casa di Caterina ti accoglie con regolare linearità: una fila di arcate tutte uguali scandisce il passaggio verso il suo alloggio. La geometria del portico introduce alle regole ferree che Caterina applicava su se stessa: qualche radice come nutrimento, ore di ferma preghiera che prendevano il posto dei giochi e dei sospiri indecisi dell’adolescenza. Una forte disubbidienza, sì, per sfuggire a ciò che riteneva inadeguato al suo destino: il matrimonio, partorire dei figli, fare come “si fa” e lasciar semplicemente scorrere la vita. Si pensa ai Santi come a persone votate alla rettitudine, invece Caterina era per il proprio tempo la più ribelle di Siena. Ha dovuto deludere, e non poco, la sua famiglia, per farsi vedere per quello che era: una particella deviante dall’abituale corso delle cose.

Il martirio di Caterina non era un puro autopunirsi. Intendo le frustrate che si tirava, il cilicio che si stringeva sui fianchi, il cuscino di pietra su cui dormiva. Oggi diremmo che tutto ciò è “svilente”, che lei certo “non si voleva bene”. Io invece credo che Caterina avesse compreso, come la natura umana raggiunga tali altezze solo alzando la testa da baratri di dolore. Nell’agio, cosa mai è possibile raggiungere? Forse niente di così eccezionale, niente che devii in maniera radicale e incisiva dalla norma. Le privazioni che si è imposta son state per Caterina la maniera più pura di volersi bene: non è forse dal basso che le altezze divine si raggiungono?

Mi figuro la mia vita a metà: mai troppo in basso, perché di soffrire ne ho paura; mai troppo in alto. La mia quotidianità segue un andamento stabile. La comodità l’ha assuefatta, l’agio l’ha resa una retta molle, non più convinta della sua direzione ma che non scorge ragioni per deviare.

Dal suo vuoto materiale, Caterina ha rivoluzionato la Chiesa Cattolica medievale. Ha costretto il Papa a tornare a Roma, ha viaggiato e intrattenuto rapporti epistolari con le personalità più importanti d’Europa su temi sociali e politici, svolgendo un ruolo di protagonismo femminile fuori dagli schemi dell’epoca.

Passeggiando adagio sotto gli archi del Portico dei Comuni penso a come la quantità ci devii, a come invece dal vuoto della privazione sia possibile costruire ciò che nei secoli rimane saldo.

 

Duccio

Testo di Giada Finucci

Foto di Nicolò Ricci

 

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