Nicoló, Duccio e il senso delle cose: San Galgano, il tetto che non c’è

Nicolò, Duccio e il senso delle cose è la rubrica settimanale di giornalismo narrativo su Siena proposta da SienaNews. Gestita da due giovani, Nicolò Ricci per la fotografia e Giada Finucci per la scrittura, vuole portare lo sguardo delle nuove generazioni sulla città. Il suo scopo è quello di valorizzare luoghi di Siena attraverso la fotografia e il racconto.

Ho un grande culto per conventi e monasteri. La vita monastica mi ha sempre affascinato. Pensare di scegliere delle mura entro cui relegare la propria esistenza, accettare dei compagni di vita ben prima di conoscerli, vivere trasportati dalla corrente del medesimo credo. Entro pareti solide in cui rinchiudersi e proteggersi dal mondo fuori, aspirare a un qualcosa di più alto.

Mi appare come il contrario della vita contemporanea: cercare la grandezza perdendosi nel mondo, far sì che ogni luogo non diventi mai casa. Fare del non fermarsi – in alcun luogo, relazione – il proprio culto. Sentirsi potente, più delle contingenze esterne, che non sono mai abbastanza per far sì di decidere di rimanere. Quando sento la tentazione di sostare, magari fermarmi a vivere, entro salde mura che chiudano e proteggano, vado a visitare San Galgano.

I lavori di costruzione iniziarono nel 1218. L’abbazia venne abitata fino al 1400 inoltrato, per essere poi abbandonata dai monaci, che si trasferirono nel centro città di Siena. La copertura del tetto venne venduta, un fulmine intervenne a far crollare anche il campanile. Ogni tentativo di mantenimento fu inutile e la più grande abbazia cistercense toscana venne sconsacrata e trasformata in una fonderia. A inizio Novecento, l’inizio della frammentazione dell’uomo postmoderno fece sì che le rovine ricevettero valore nuovo: il restauro dell’Abbazia ebbe inizio.

Oggi le pareti, un tempo solide, non si vergognano più del loro cedere. I rosoni, non coperti dal consueto filtro di vetro per la luce esterna, si fanno finestre attraverso cui osservare il volo degli uccelli. Le navate laterali mantengono la copertura d’archi che ombreggia i visitatori mentre la navata principale, corridoio attraverso cui un tempo si arrivava all’altare, è soggetta alle indecisioni variabili del cielo: sole e pioggia non sono a discrezione dell’uomo.

Percorro l’ampia navata, i raggi di inizio estate battono sulla mia pelle ancora chiara. In cielo, vi sono poche nuvole. San Galgano mi ricorda che nella propria strada sentirsi coperti non è possibile, che per il cammino verso il nostro desiderio non c’è tetto che tenga.

 

Duccio

Testo di Giada Finucci

Foto di Nicolò Ricci

 

 

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