Nicoló, Duccio e il senso delle cose: Porta Tufi e le cose dimenticate

Nicolò, Duccio e il senso delle cose è la rubrica settimanale di giornalismo narrativo su Siena proposta da SienaNews. Gestita da due giovani, Nicolò Ricci per la fotografia e Giada Finucci per la scrittura, vuole portare lo sguardo delle nuove generazioni sulla città. Il suo scopo è quello di valorizzare luoghi di Siena attraverso la fotografia e il racconto.

Mia nonna non è abitudinaria. Contro quel che si dice sulla sua età, l’unica abitudine che lei prende è quella di vivere la novità, di far comparire sugli occhi il luccichio che le viene davanti alle cose che non conosce. L’ultima abitudine che ha preso è di andare a messa ogni domenica in una chiesa differente.

Stamani è la volta della Chiesa di San Matteo e io le ho promesso di accompagnarla. A braccetto imbocchiamo la Strada dei Tufi, lasciandoci alle spalle Piazza Sant’Agostino e ogni piccolo rumore della città. Se non fosse domenica, penso, divideremmo il marciapiede con i ragazzi che salgono dal convitto e sentiremmo il suono dolce dei flauti uscire dalle finestre semi aperte dell’istituto musicale San Bernardino. Stamani invece, la città dorme. Dall’orto botanico si sporge un ramo di felce troppo cresciuto e mi solletica in viso.

Giungiamo alla porta. Sotto l’arco, mia nonna slega il suo braccio dal mio e davanti al tabernacolo incassato nella volta fa il primo segno della croce della mattina. Aspettandola noto, dalla parte opposta, una lastra. Mi avvicino per leggerla: “Il 27 luglio 1552, guidati da Enea Silvio Piccolomini e Giovanni Maria Benedetti, irruppero nella città i fuoriusciti senesi a decisivo e possente sostegno della rivolta in atto conclusasi con la cacciata delle milizie ispano-medicee”.

“Nonna, ne sai qualcosa? Perché i rivoltosi entrarono da qui?” le chiedo, riagganciandomi al suo cappotto e portandola via dal tabernacolo.

“É una buffa storia, Duccio. In breve, perché Porta Tufi era dimenticata»

“Dimenticata?” le chiedo incuriosito.

“Da Porta Romana vi passava la Francigena; tutte le altre porte erano più popolate e controllate. Porta Tufi invece è sempre stata l’apertura verso la campagna, la porta dimenticata dai senesi. Non senti anche ora, che silenzio che c’è?”

A farci compagnia c’è il cinguettare degli uccelli e il motore lontano di un pollicino che scende la discesa. Usciamo nel piazzale assolato, davanti a noi si aprono le valli. Mi volto indietro per guardare bene la porta: sui merli di laterizio consumati dal tempo posano e s’alzano a coppie i piccioni, il marmo bianco dell’arco d’ingresso riflette i raggi del sole e i colori della Tartuca si muovono sulle bandiere al vento.

“Attento alle cose dimenticate”- ammonisce mia nonna – “è da lì, che la rivolta entra”. Le campane suonano le dieci, il suo braccio si lega di nuovo al mio: “Ora però andiamo, che si fa tardi”.

Duccio

Testo di Giada Finucci

Foto di Nicolò Ricci