Nicoló, Duccio e il senso delle cose: I Rozzi, acquistare quel che si perde

Nicolò, Duccio e il senso delle cose è la rubrica settimanale di giornalismo narrativo su Siena proposta da SienaNews. Gestita da due giovani, Nicolò Ricci per la fotografia e Giada Finucci per la scrittura, vuole portare lo sguardo delle nuove generazioni sulla città. Il suo scopo è quello di valorizzare luoghi di Siena attraverso la fotografia e il racconto.

“Tu non sai scherzare sulla vita” mi sono sempre sentito dire da quando, più o meno, ho iniziato a vivere. Non rispondevo, lasciavo sospesa l’affermazione e intascavo. “Che vuol dire, scherzare sulla vita?” avrei voluto chiedere. Ma troppo timido per formulare la domanda ho cercato da solo, fra le strade della mia città, degli esempi che potessero insegnarmelo.

Davanti all’insegna del Teatro dei Rozzi, mi son trovato a fissare a lungo le ramificazioni che esplodono dall’albero e il nastro su cui è scritta la famosa quanto oscura frase “Chi qui soggiorna acquista quel che perde”. Le volte che passavo di lì per sfuggita come quelle in cui mi concedevo qualche minuto di attesa davanti al teatro, mi chiedevo cosa volesse dire questa scritta. Quale fosse il senso che i Rozzi, congrega di dodici artigiani riuniti nel 1500 sotto l’insegna dell’arte, volesse trasmettere.

Me li immagino, lavoratori infaticabili, uscire al calare del sole dalle loro botteghe in centro città e ritrovarsi, chi con un’ecloga in mano, chi con uno strambotto che fra un cliente e l’altro aveva pensato e imparato a memoria perché carta su cui scriverlo non ve n’era, in stanze riscaldate solo dal vino e leggere e recitare ognuno la sua parte.

 

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Quando la bottiglia arrivava al fondo li si sentiva, talvolta, inveire contro i circoli più nobili, come quello degli Uniti e degli Intronati che si ritrovavano per far arte, anche loro, ma un’arte completamente differente poiché era un’arte ampollosa, riservata a chi aveva avuto il privilegio di anni e anni di istruzione. Dicevano i Rozzi, la bocca impiastricciata di vino e di poesia, che loro l’arte non la facevano per farsi vedere bravi, ma per vivere. Perché era solo prendendo la vita un po’ in giro, cercando parole da mettere in versi mentre si aggiustava un ferro di cavallo o si filava la lana, che le giornate umide dentro le botteghe diventavano tollerabili. Per questo, attraverso un’assemblea straordinaria dei soci, concordarono il motto “chi qui soggiorna, acquista quel che perde”. Perché è diventando “rozzo”, ovvero abbassandoti al livello della vita quotidiana, del popolo e denudandoti di ogni velo di apparenza che perdi quella che è la vera rozzezza.

Così ancora quando mi capita di prendere la vita troppo sul serio, allungo i miei passi fino a Piazza Indipendenza e davanti al Teatro ripenso ai Rozzi. All’intraprendenza di artigiani poveri in nome di un’arte che rida, prenda in giro, diverta. Allora sono libero il cuore di alleggerirlo perché so che, scherzando sulla vita, la vita non si perde ma s’acquista.

Duccio

Testo di Giada Finucci

Foto di Nicolò Ricci