Il formaggio italiano alla conquista dei mercati esteri

Tra i tanti prodotti di alto livello, che l’Italia esporta all’estero, anche il formaggio sta viaggiando forte. Una recente indagine riportata da Food e condotta da Nomisma, per conto dell’Associazione dei Formaggi Italiani Dop e Igp (AFIDOP), ha evidenziato grandi opportunità di recupero sui mercati nell’era post Covid per i formaggi italiani, soprattutto per i prodotti di qualità, tra i consumatori con maggiore capacità di spesa.

I risultati sono emersi analizzando le abitudini alimentari di alcuni paesi europei, come Gran Bretagna, Germania, Francia, Spagna e Svizzera. La ricerca ha rilevato che almeno 9 consumatori su 10 hanno acquistato formaggi negli ultimi 12 mesi. Svizzeri, Francesi e Spagnoli adorano i formaggi a pasta dura, pari merito con i freschi per quanto riguarda la Svizzera e la Germania o a pasta semidura in Germania e Spagna; quelli a pasta molle vanno a gonfie vele in Francia. Il formaggio per quasi la metà degli acquirenti si consuma all’interno di altri piatti o panini, oppure su pasta o pizza.

Solo il 13% dei consumatori europei lo utilizza per cucinare, e il 12% come ingrediente all’interno di sughi o piatti pronti. Generalmente le persone lo comprano nella grande distribuzione (super-iper mercati o discount), circa l’11% lo acquista nei negozi specializzati. Gli acquirenti europei collocano Italia e Francia al primo posto tra i Paesi produttori di formaggio di alta qualità.

Sebbene Spagna e Germania preferiscano quelli francesi, i formaggi italiani sono quelli più apprezzati: almeno il 70% ha acquistato nell’anno scorso un formaggio del Belpaese, e addirittura tra i cugini d’Oltralpe e Spagna la percentuale supera il 70%. Per Denis Pantini, responsabile agroalimentare di Nomisma, “la pandemia ha influito sensibilmente sulle esportazioni dei nostri formaggi. Tuttavia, i risultati emersi dalla ricerca mettono in luce le potenzialità ancora inespresse dei nostri formaggi sui principali mercati europei. Sebbene ancora ‘introvabili’ per un 10% degli intervistati, possono contare su una qualità organolettica superiore riconosciuta tale da chi invece li consuma, e da cui ripartire per recuperare il gap nell’export generato dalla pandemia”.

Stefania Tacconi