Compagni di vita: “Fibromialgia: Soffrire senza capire e senza essere capiti”

Ci sono tanti compagni di viaggio. Alcuni ce li scegliamo, altri ce li troviamo a fianco, magari nel seggiolino accanto in un treno, su un autobus o un aereo. E non puoi cambiare posto. Oppure in una strada che devi percorrere per forza. Quella strada non ti piace, magari, e nemmeno sai dove ti porterà e proprio non vorresti a fianco chi ti sta accompagnando. Così abbiamo deciso di dare voce a tutte quelle persone che si sono trovate “per destino” a compiere una parte del viaggio della vita con quelle che vengono definite malattie rare, malattie invisibili, malattie croniche. Lo abbiamo fatto con due interviste – la prima al professor Bruno Frediani (potete rileggerla qui) e una alla professore Silvia Sestini (qui), rispettivamente direttore del Dipartimento di Scienze mediche e della Reumatologia dell’Aou senese e presidente della Aimaku, l’associazione che segue chi è affetto da Alcaptonuria

Di “compagni scomodi” nel viaggio della vita ne ho ben due. Sono “malata poligama”. Uno si è aggiunto in corso d’opera, ma spero “scenda” presto, ed è in parte derivato dall’altra che invece mi seguirà, compagna fedele, per il resto del percorso.

La mia compagna più tenace è la Fibromialgia. Ho questa malattia dal 5 novembre 2018. Il 4 novembre sono andata a letto ed ero normale e la mattina mi sono svegliata praticamente paralizzata. Sembra che se ne sei portatore si attivi quando vivi forti stress oppure subisci shock emotivi o traumi.

E il 2018 me ne aveva regalati di traumi e shock quanti gli erano venuti in mente. Poi, da lì, è iniziata una lunga strada fatta da curve, tornanti, pianure, discese, colline e montagne da scalare. Di cure e di diagnosi sbagliate, di ipotesi che andavano dalle patologie mentali (ma uno psicologo no?) a quelle di ogni ordine fisico. Poi eccola: fibromialgia. Ma che “cavolo” è? E’ una patologia invalidante, non riconosciuta per la quale non c’è “arrivo” e se “si parte” non ci si ferma più.

Può farti “riposare” nei periodi in cui è silente ma poi gambe in spalla e via. Non ci si annoia con lei, non c’è pericolo. Ogni giorno ti svegli e ti chiedi: cosa non funzionerà stamani? Perché il più delle volte non muovi “qualcosa”, ti vesti e ciò che ti sfiora sembra sia fatto di spilli e spine che pungono. La testa? Piena di nebbia a momenti. Io le chiamo “le pennellate”, quando scordo da un momento all’altro di aver detto o fatto o di dover fare qualcosa. E il peggio è quando ti senti dire dalle persone che hai più vicine (colleghi, amici) che te la inventi questa malattia dato che cammini di più, ti muovi di più, fai più sport, magari ti hanno visto andare in bicicletta. “Mi vuoi dire che sei malata se vai in bici? E io dovrei crederti?”. Ed allora sei costretta a produrre certificati medici per “provare” che non sei scorretta e che hai davvero una patologia difficile da gestire, una patologia per la quale una delle cure è proprio il movimento continuo. Ed eccole lì le parole di un mio grande amico e grande medico che mi risuonano nelle orecchie: “Maura l’unica cosa che devi fare è non fermarti mai. Se ti fermi sei finita”.

Ah, gentine, non dite mai a chi soffre di patologie che non sono immediatamente capibili che se le inventano anche se, poi, per fortuna, c’è chi a quelle patologie ci crede e fa di tutto per trovare il modo di alleviarle. Grazie a tutti e due: i primi perchè ti fanno capire la pochezza dell’uomo; i secondi perchè ti fanno capire la grandezza dell’uomo.

Maura Martellucci