Mors tua vita Pea: e non c’è niente da capire…

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di Claudio Pea

 

Mezzogiorno a casa d’amici sfogliando i quotidiani: tutti i titoli eguali, o quasi, con la fantasia dei miei stivali. La Gazzetta: “Siena avanti con McCalebb ma Milano c’è”. Il Corrierone: “Vince la solita Siena ma Milano c’è”. Sulla stessa onda anche il Giornale che però io per abitudine non compro mai. Va bene, l’ho capito, mica son scemo: Milano c’è. E non ci fa. Evviva Milano. Ma se mi chiedete se devo essere anche felice, sarò sincero: sono altre le gioie che mi dà la vita e che inseguo. Per esempio la Tigre che ho appena chiamato e mi ha stupito: sapeva che la Montepaschi sabato sera ha vinto la prima finale.

Domani nevica. E, se non nevica, grandina: povere le mie ciliegie. Pensieri in libertà guardando quel campo di grano che sale sulla collina sino al castello delle Quattro Torre. Una meraviglia. Come, mi dicono, sia un incanto il diciotto buche che Riffeser, insieme al resort e alle scuderie, ha costruito alla Bagnaia sulla strada che da Siena scende al mare. Ma io con Nico, il mio guardaspalle, sono andato più avanti girando alla larga dal lussuoso quartier generale dell’Armani, dove mi avrebbero visto come il demonio, e mi sono rifugiato nel bosco della Selva del Belagaio dove, al massimo, avrei dovuto fare i conti con i cinghiali. Non molto lontano da Jesa, paese di cacciatori e di gente straordinaria, come il Massimo, tifoso biancoverde e bianconero, amico di messer Vieri, che pure adoro, è nato Lucianone Moggi da Monticiano che, prima di fare il capostazione, tagliava anche lui la legna con il padre e poi l’andava a vendere a Grosseto, dove ha casa Luca Banchi, un altro al quale sento di voler bene. Così, a mio modo, senza secondi fini. E non c’è niente da capire. Con l’anima in riserva e il cuore che non parte. Grande De Gregori. Aspettando la seconda finale e facendo i debiti scongiuri. Pensando che anche ai tifosi di Milano non stavo in fondo sui coglioni quando pur chiamavo Sgambetti e Morbillo il presidente Gabetti e la sua spalla Morbelli e non avevo occhi che per Michelino D’Antoni e Acciughino Pittis. Molta acqua da allora è passata però sotto i ponti della mia Venezia e mille volte ho cambiato anche parere sugli uomini (e sulle cose) perché sarò anche il più infedele di tutti i cristiani, e la mia Tigre ne sa qualcosa, ma non ho gli occhi foderati di prosciutto. Parma o San Daniele? Non ho dubbi: il muscoletto di San Daniele, un po’ salato e un po’ grasso. Dio, quanto è buono, ma se qui non finisco di mangiare mi crescono le tette e ha ragione il sempre giovane Werther a chiamarmi poi PopPea. Ma come faccio a dir di no al walzer della tagliatella al sugo di cinghiale della sagra di Jesa? O a Ilaria e Elena che domenica con amore hanno cucinato per me (e per un battaglione) e mi hanno inchiodato a tavola da mezzogiorno sino alla partita dell’Italia con la Spagna. Cioè alle sei della sera. Nel giardino della casa di Fabrizio che ha le più buone bistecche del Senese. Mentre i ragazzi giocavano a basket e facevano spesso canestro. Dimenticandomi persino di fare gli auguri al caro Paron Zorzi di cui sono il peggiore degli allievi perché lui quotidianamente mi dà lezioni di pallacanestro, ma io – come dice Don Gel – continuerò a non capirne un tubo di pick and roll e di post up. E per una volta c’ha ragione. Mirando il campo di grano che sale sulla collina sino ai piedi del castello delle mie brame. Sì, lo so, l’ho già scritto, ma ripetersi non è solo il cruccio dei rimbambiti: stavolta è anche lo spunto che mi viene a fagiolo per raccontare che sotto quel campo di grano non è una rosa, non è un tulipano, ma ci sono una strada bianca e un casonetto dove Marco Jaric dava appuntamento alle sue belle figliole e Adriana Lima era negli States. O magari in Brasile. Grande anche De Andrè. Come Simone che non ha stretto la mano a Don Gel a fine contesa. Perché le guerre, di Piero o di contrada, sono guerre nelle quali non si fanno né sconti né prigionieri e al nemico, prima della sua definitiva resa, non si porge mai l’altra guancia. Per la verità un secondo dopo la sirena Don Gel ha subito preso la strada dello spogliatoio con le mani in tasca. E nella scarsella sinistra o destra, non ricordo bene, nascondeva l’alibi della caviglia di Fotsis più grossa di un melone. Stasera arbitra con Sabetta e Chiari il LaMonica, che non è LaMarisa, ovvero la mia Tigre, e nemmeno è uno strarompi come il Facchini che ha fischiato il doppio dei tecnici alla Montepaschi. Meditate gente, meditate. Ci sarà Kaukenas e farà caldo come sabato al tramonto del sole. E l’aria sarà più rancida ancora perché Siena sa che questa è la partita della serie finale che vale da sola mezzo scudetto e forse anche più della strepitosa pasta e fagioli che faceva mia nonna in Scariola.