Il ritmo del cosmo, rivoluzione di David

L’arte delle muse. Questa è l’origine del termine, ma non rende abbastanza la sua importanza. Il ritmo del cosmo sarebbe più giusto, poiché anche l’universo ha la sua melodia, la “radiazione cosmica di fondo”. L’espressione dell’anima, perché non ha bisogno dell’intermediazione delle parole o di altri costrutti umani. Essa ci pervade, muta i nostri sentimenti, esplode nelle nostre vene o culla i nostri pensieri, frantumando ogni barriera.
Attraverso gli anni ed i secoli, possiamo provare le stesse emozioni che provarono gli spettatori di Vienna, che applaudirono inascoltati Beethoven, che continuava a stare voltato dopo la Nona. Possiamo ammirare il ciclo delle stagioni ascoltando il violino di Vivaldi. Possiamo avere i brividi e pensar di vedere i fantasmi quando risuona l’organo della Toccata e fuga in Re minore di Bach. Possiamo scatenarci agli assoli di Jimi Hendrix come se fossimo a Woodstock. Anche con le altre arti possiamo sentire qualcosa del genere, è vero, ma non è mai immediato come quando mettiamo un CD, un vinile o andiamo ad un concerto, ed alle prime note si scatena una ridda di ricordi ed emozioni, entrando in una sorta di mondo parallelo fatto della tua immaginazione e dei più bei momenti della tua vita. Non c’è niente di simile. È quasi impossibile descrivere le sensazioni che può scatenare la musica. Sarebbe una contraddizione spiegarlo con le parole. Servirebbe tutto l’inchiostro del mondo, virtuale e non.
Domenica la musica ha perso uno dei suoi più grandi profeti del Novecento, il Duca Bianco David Bowie, e siamo sicuri che sarà difficile sostituirlo, anche se la gloria umana non è “altro ch’un fiato di vento”. S’è scritto e detto molto su di lui in questi giorni, forse a sproposito, e molti sono saliti sul suo carro senza mai averlo apprezzato o conosciuto a fondo. Per questo io mi limito a diffondere una sua canzone ed il suo messaggio: we can be heroes, just for one day.
Lorenzo Santoni

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Se ne va David Bowie, uno dei più grandi della musica contemporanea e con lui i ricordi di un’intera generazione che grazie a lui scoprì un’arte nuova. Non solo quella della musica, ma la più nobile di tutte: quella della ribellione. E benché tra le muse ufficiali non sia menzionata, la disobbedienza è il vero punto di partenza di ogni forma d’arte.
Il cambiamento, rompere gli schemi, cercare l’eccesso, sfuggire alle regole: queste le molle artistiche di Bowie. E ciò che ne fece la colonna sonora di voglia di libertà di quei ragazzi che volevano cambiare il mondo.
Oggi quei ragazzi sono adulti. In molti di loro di quella voglia di rivoluzione è rimasto ben poco.
Sono ingrigiti e insieme a loro tanti ideali. Si sono piegati di fronte alla volontà socio culturali, altri invece sono rimasti tanto nostalgici da non esser mai cresciuti, tanti Peter Pan insomma, nell’accezione peggiore.
Mi piace pensare però che, quando si è appreso della morte di Bowie, per un attimo tutti loro siano tornati a quegli anni. Si siano immaginati di nuovo lì e si siano ricordati che ciò che da sempre spinge il mondo avanti è cercare di sovvertire le regole che ci vogliono schiavi.
Bowie era un grande e come tutti i grandi ha intercettato i sogni di intere generazioni, ispirandone gli eccessi, quelli migliori.
E allora mi piace pensare anche che quei rivoluzionari ingrigiti e i loro figli abbiano ascoltato insieme “Rebel, rebel” e l’abbiano ballata come pazzi. E si siano detti: siate ribelli, siamo ribelli.
Ribelli da chi ci vuole in un certo modo, ribelli da noi stessi che ci vogliamo in un certo modo “..You can’t get enough, but enough ain’t the test…”

Selene Bisi