Basilico, Zuccone, Tradita: i nomi degli esposti del Santa Maria della Scala

Fin dal Duecento, nel momento in cui un bambino viene affidato alla misericordia dell’ospedale di Santa Maria della Scala, lasciato nella pila o nella ruota (l’abbandono è anonimo), il frate che lo accoglie annota subito tutti i particolari che gli appaiono utili e significativi per consentire al nuovo venuto il mantenimento della sua identità e alla famiglia di poter riconoscere un giorno il proprio congiunto. In appositi registi si segnano, così, la data di ingresso in istituto, l’ora del ritrovamento, le caratteristiche fisiche, l’età indicativa. Si specificano, inoltre, le condizioni fisiche e si fa un inventario dettagliato delle vesti e di ogni altro oggetto che il bambino ha con sé.
Gli oggetti lasciati addosso agli esposti, talvolta numerosi, sono dei generi più disparati: pezze, fasce, medaglie, monete, oppure bigliettini (i cosiddetti “polizzini”) dove si può trovare indicato se il bambino è stato già battezzato, il luogo di provenienza, oppure si raccomanda a chi lo troverà di prendersi cura di lui, o, ancora, si scrive se ha già un nome.

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Il mondo dei nomi dati ai gittatelli del Santa Maria della Scala nei secoli è il più vario che ci si possa immaginare. Dato che nella maggior parte dei casi i nomi non erano indicati spettava ai frati “inventarli” e la loro fantasia veniva davvero messa alla prova dato che, ogni anno, erano decine e decine. Spesso i frati si ispiravano ai Santi oppure agli eventi del calendario liturgico che ricorrevano nel giorno del ritrovamento per cui abbiamo gittatelli che si chiamano Valentino Carnasciale (lasciato nella pila il 14 febbraio 1469), ma anche Ulivo, Uliva, Ulivetta, Pasquale, Pasqualino (se abbandonati a Pasqua), Natale, Natalino, Silvestro (se lasciati a Natale) oppure Befanìa (ritrovata per l’Epifania). Nomi quali, ad esempio, Sabbatino, Menicho, Necha oppure Marzolina si rifacevano al giorno (o al mese) in cui erano stati trovati. Fortunato, Felice, Speranza, Salvato, Deodato erano nomi di buon auspicio. Non mancavano, poi, nomi “particolari” e Basilico, Zuccone, Tradita (dai genitori, forse?) ne sono un esempio.
Tutto questo cambia nel 1817 anno in cui un rescritto granducale impone che ai gittatelli degli ospedali non vengano più assegnati nomi che indichino il loro stato di esposto e tali nomi non devono essere “né indecenti, né ridicoli”. Si abbandona così l’uso di dare loro il cognome “Della Scala” e iniziano ad essere contraddistiniti, il più delle volte, da un nome e da un cognome che iniziano con la stessa lettera dell’alfabeto.

Come esempio di quanto detto, permetteteci, a questo punto, di raccontarvi una storia che in qualche modo ci è vicina ma che fa parte, probabilmente, dell’albero genealogico di molti lettori.
Il 9 luglio 1873 viene posto nella ruota del Santa Maria della Scala, e lo stesso giorno battezzato divenendo “figlio dello Spedale”, un bambino che avrà nome Oreste Orioli. Il fanciullo era stato lasciato all’ospedale con indosso, si legge nei registri, “la metà di un piccolo gettone appeso ad un nastro di seta rossa e nulla più”.

oreste orioli
Della sua vita sappiamo che dal 1873 al 1886 va a balia in sei diverse famiglie: una di Gaiole e le altre di Monte San Savino. Una di queste famiglie si era affezionata ad Oreste e voleva tenerlo ma il capofamiglia, calzolaio, morì e per l’estrema povertà, dopo un periodo in cui il bambino venne portato a chiedere l’elemosina, fu rimandato a Siena. Oreste Orioli si farà comunque una vita, sarà bracciante agricolo e sposerà Giulia Pallanti. Il 12 maggio 1916 nascerà loro una figlia: Albertina che a 12 anni verrà “a servizio” a Siena da una famiglia dragaiola e il suo cuore batterà sempre per il Drago. Nel settembre del 1948 sposerà Remo Balestracci e il 20 agosto del 1949 nascerà Duccio.
Nelle storie degli esposti del Santa Maria della Scala stanno le radici di quello che oggi siamo noi e del sangue che scorre in molte delle nostre vene.
Maura Martellucci
Roberto Cresti