Genitori & figli: spiegare il terrorismo

 

L’idea è nata confrontandosi con molti dei nostri lettori che, seguendo la rubrica del dottor Grisolaghi, ci hanno chiesto di affrontare anche altri argomenti. Nasce così l’appuntamento settimanale con la rubrica curata dalla dottoressa Monica Perozzi, psicoterapeuta, che si occuperà di argomenti di attualità affrontandoli sempre dal punto di vista del rapporto tra genitori e figli. In assoluto il legame più forte ma anche quello più conflittuale e difficile da gestire. La dottoressa Perozzi, che ringraziamo per aver accettato questa sfida, dati i suoi impegni, risponderà alle vostre domande e ai vostri dubbi. Potete contattarla scrivendo a redazione@sienanews.it 

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Una foto che suscita paura, dolore, tenerezza, rabbia e ci fa chiedere perché, perché tutto questo? Una bambina che di fronte alle atrocità della guerra è stata costretta a perdere la sua innocenza,i suoi sogni; uno sguardo adulto,di chi ha visto e vede l’orrore della violenza,della distruzione,della morte e come un genitore, cerca di proteggere la figlia/bambola mettendole una mano su gli occhi per non vedere ciò che purtroppo a lei non è stato risparmiato.
Ogni giorno veniamo bombardati dalla tv,dai giornali, dai social network, da immagini come questa, immagini di corpi innocenti straziati, scene di terrore, di panico, uomini e bambini che impugnano armi,ma non solo, quello che entra nelle nostre case sono per il 90% notizie di violenza, morte, madri che uccidono figli, figli che uccidono i genitori, donne che vengono massacrate. Tutto questo ci fa sentire vulnerabili, impotenti, insicuri e ci chiediamo come poterlo affrontare con i nostri figli,come rispondere alle loro domande su argomenti che anche in noi adulti scuotono la psiche e smuovono le emozioni più profonde.

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I genitori hanno spesso paura di vedere i propri figli turbati, spaventati, si sentono incapaci di contenere le paure del bambino e cercano in ogni modo di negarle o minimizzarle utilizzando parole confortanti,che però non sono in sintonia con quello che sperimenta il piccolo, ciò più per rassicurare se stessi e riportare uno stato di tranquillità “apparente”.
È importante che l’adulto accolga le paure del bambino,che lo ascolti e lo esorti a manifestare quello che prova non facendolo mai sentire inadeguato e giudicato, ma che venga data lui credibilità anche se esprime idee, sentimenti che non ci trovano d’accordo o ci spaventano e nel caso in cui ciò avvenga cercare di farsi spiegare il perché di tali affermazioni,mostrare comunque che siamo interessati ad ascoltare quello che ha da dire,che cosa pensa e che siamo disponibili a rispondere alle sue domande ,a dare spiegazioni,perché non fare ciò vorrebbe dire lasciarlo solo ad elaborare tutta questa ansia e angoscia.
Può capitare che i genitori si sentano incapaci di gestire tali situazioni, che anche in loro smuovono sentimenti di varia natura e che si trovino impotenti di fronte all’emozioni e alle tante domande dei loro figli,come se sentissero il peso di risposte certe, di soluzioni immediate.

I bambini non vogliono soluzioni, desiderano verità, onestà, desiderano essere ascoltati e sentire che anche l’adulto può provare le stesse emozioni come la paura, la tristezza, l’insicurezza per tutto quello che sta accadendo.

Dobbiamo indubbiamente tenere in considerazione l’età del bambino e il suo temperamento cioè la sua capacità di esternare più o meno i sentimenti.

 

L’età che va dai tre ai sei anni è un’età in cui il piccolo generalmente fa domande relative a se stesso e ai suoi familiari,è nella fase di egocentrismo, il suo io è al centro dell’universo e la sua paura più grande è quella della perdita delle figure di riferimento. E’ proprio a questa età (verso i tre anni) che sviluppano la percezione concreta della morte; può essere di grande aiuto quando ci troviamo ad affrontare con loro il tema della guerra,del terrorismo e di altre forme di violenza,oltre che farli parlare e manifestare le loro emozioni, invogliarli a fare dei disegni che possano aiutare a far emergere ciò che neanche le parole riescono ad esprimere e il bambino può sentirsi sollevato,soprattutto se dopo il genitore si ritaglia del tempo per farsi raccontare ciò che ha rappresentato. Sarebbe importante anche evitare delle visioni troppo terrificanti,anche se purtroppo è quasi impossibile.
Tutto questo è attuabile anche nelle fasce di età che vanno dai sei agli otto anni e dagli otto ai dieci: nel primo caso va ricordato che le capacità razionali sono aumentate e sono più stimolati a fare domande, per questo possiamo rendere più concreto quello che sta accadendo nel mondo,magari facendo vedere su una cartina dove avviene il conflitto e accettare che ci possano essere eventuali regressioni,come enuresi notturna,paura del buio, disturbi del sonno.

Intorno agli otto dieci anni i bambini sanno decifrare i messaggi, ma hanno ancora bisogno dell’adulto che dia loro spiegazioni per poter tradurre le loro emozioni.
Negli adolescenti ci può essere una relazione alla pari in quanto le loro capacità emotive e mentali sono sufficientemente mature per affrontare la realtà; in questo periodo si troveranno a confrontarsi anche con persone al di fuori della famiglia,come amici,cantanti,professori,politici e questo inevitabilmente può portare ad avere opinioni contrastanti con i genitori che come detto in precedenza dovrebbero evitare il più possibile ogni tipo di giudizio e far percepire al ragazzo la libertà di potersi esprimere anche se ha idee divergenti dalle loro.
Quello che più mi preme sottolineare è l’importanza dell’educazione all’ affettività e all’autenticità dei sentimenti che dovrebbe partire dalla famiglia ed estendersi alla scuola e quindi alla società. Soprattutto in questo momento sarebbe importante che i genitori non si sentissero soli ad affrontare argomenti così difficili quali il terrorismo che innesca di conseguenza paura dell’altro, sfiducia e non per ultimo comportamenti discriminanti, sarebbe opportuno che anche all’interno delle scuole fosse motivo di confronto e ci fosse il desiderio di comunicare e non semplicemente di trasmettere notizie perché nella comunicazione è sottinteso un processo bidirezionale ,dare e ricevere, chiedere e rispondere,la trasmissione è unidirezionale, semplice travaso di nozioni dove non c’è interesse per i pensieri e tantomeno le emozioni dell’altro.

Dott.ssa Monica Perozzi
medico chirurgo – psicoterapeuta