Prosegue il viaggio del Treno della Memoria

Olocausto

19.18 Un’interminabile litania di nomi apre la cerimonia al monumento internazionale del campo di Birkenau, dove un tempo c’erano i quattro forni crematori e le camere a gas capaci di inghiottire duemila persone per volta. Sono i nomi dei toscani deportati ed uccisi. Raimondo Calò, 4 anni. … Rossella Antigoli, 4 mesi … Giulia Noxas 20 anni … Ogni ragazzo li sussurra sotto la neve che cade dal cielo e non si ferma un attimo, un nome e una storia custodita fin dalla partenza, ed una fiaccola accesa in mano per non dimenticare. Così alla fine, con più di cinquecentociquanta nomi, sono gran parte dei quasi settecento ebrei toscani identificati e inghiottiti dai lager. Anche le sorelle Bucci ne hanno due: uno è il cuginetto Sergio De Simone, entrato nel lager a quattro anni e mai uscito. Nomi di giovani deportati, molti bambini e neonati. Cognomi che si ripetono con insistenza e che danno bene l’idea di intere famiglie sterminate.
La cerimonia toscana inizia attorno alle una, aperta dal corteo con gli striscioni contro il razzismo e il negazionismo portati dai ragazzi, con le chiarine di Firenze e i gonfaloni della Regione, dell’Associazione deportati e di qualche Comune e Provincia. Due corone vengono deposte a terra. Alla fine le tre preghiere – quelle in lingua rom, quella cattolica e quella cantata in ebraico – e poi l’inno nazionale.
I ragazzi si stringono gli uni agli altri. Chinano lo sguardo e si incamminano verso i pullman, passando di fianco alla tristemente nota porta della morte che affiora dalla nebbia.  

19.14 Nelle quattro ore sotto la fitta neve che cade sul campo di Birkenau, il paese del bosco delle betulle dove sette villaggi furono rasi al suolo per far posto al più grande campo di sterminio nazista, è la vastità che per prima ti colpisce. Cammini dentro, non vedi la fine da una parte all’altra e questo sconvolge i ragazzi ma anche i meno giovani. Birkenau, progettato per ospitare fino a 200 mila persone alla volta, si estende infatti come 350 campi da calcio. Con Auschwitz, Monowitz e tutti i sotto campi si arriva addirittura a quaranta chilometri quadrati.
Fa freddo nel primo giorno in Polonia dei 557 ragazzi toscani del treno della memoria. Ma durante la guerra faceva ancora più freddo, raccontano le guide: anche 35 o 40 gradi sotto zero, con indosso una divisa leggera ed un paio di zoccoli. I ragazzi ascoltano, prendono appunti, scattano foto. Ma metro dopo metro il cuore si stringe, gli sguardi si alzano al cielo e i visi si corrugano. Cercano risposte e non le trovano. Difficile del resto trovarle. Qualcuno si fa coraggio e chiede alle sorelle Bucci cosa hanno provato.
I numeri di Birkeanu sono da brivido. Settanta anni fa c’erano 300 baracche: 244 in legno, stalle da campo trasformate in alloggi. Ognuna con una stufa, prevista dal regolamento, ma che il regolamento non obbligava ad accendere. E la notte dai vetri rotti e gli spifferi frequenti cadeva acqua e neve. C’era anche uno spicchio più ‘umano’, ‘specchio per le allodole” nel caso di ispezioni della Croce Rossa che mai ci furono. E i suoi ospiti furono tutti uccisi, come i 23 mila Rom e sinti del campo famiglia, abitato da 11 mila bambini. Attraversare i lunghi sentieri di Birkenau per quattro ore o avvicinarsi ai vagoni bestiame piombati ancora sui binari – a destra la morte sicura e a sinistra (forse) la speranza di sopravvivere – dà solo una timida e parziale rappresentazione delle crudeltà e della vita in un campo di sterminio. La mostra fotografica al termine della ‘sauna’, con decine e decine di foto di famiglia trovate in una valigia rimasta sepolta chissà come nel fango, offre un volto e un nome a parte del milione e mezzo di persone che dall’intero complesso di Auschwitz sono uscite col fumo dai camini. E’ poco. Ma è abbastanza perché ti venga un groppo alla gola. O per provare rabbia e vergogna. O per comprendere come molti, presi dalla disperazione, non ce l’abbiamo fatta e si sono suicidati prima: contravvenendo al regolamento, andando incontro al filo spinato elettrico che con 16 mila pali in cemento circondava dentro e fuori il campo, uccisi prima il più delle volte dalle sventagliate delle guardie sulle torrette.

18.27 Mentre sotto le neve incessante si avviano al microfono della cerimonia commemorativa per pronunciare il nome del bambino o del giovane ucciso dalla macchina di morte del campo di sterminio, qui a Birkenau, i volti degli studenti del Treno della memoria 2013 appaiono tesi e compresi alla luce della candela che portano in mano come simbolo di una vita spezzata.
La prima volta che si mette piede qui l’emozione non si contiene, e non c’è preparazione dai libri o dalle foto o dai film che tenga; le baracche, i “letti”  di legno a castello dove si dormiva anche in cinque per postazione, i resti dell’orrore parlano un linguaggio da altro mondo, il linguaggio del male assoluto che lascia senza fiato.
“Siamo rimaste senza parole di fronte ai volti delle foto raccolte nell’edificio della sauna, dove passavano i prigionieri scampati alla selezione per le camere a gas ai quali comunque veniva requisito tutto – dicono due studentesse dell’ITC Severi di San Giovanni Valdarno -. Sono volti, pezzi di vita di persone che i nazisti cercavano di annientare come tali”.
E anche per due universitarie di Siena essere qui e vedere di persona cambia molte prospettive: “Riporteremo a casa tanta rabbia, e la voglia di impedire che questo possa ripetersi senza lottare per evitarlo”. “Da ogni viaggio si torna un po’ cambiati, ma da questo certo molto di più; torno a Grosseto con un pezzetto di Auschwitz dentro di me, e ne farò certo partecipi quanti mi stanno intorno, amici e parenti” è l’idea che si fatta una studentessa del locale liceo scientifico.
Per un insegnante di Siena che è alla sua terza esperienza, dopo il colpo dell’emozione della prima volta “cresce col tempo, anche se resta sempre l’impatto di venire qui di persona a rivedere, la voglia di razionalizzare e calare le emozioni nella vita di ogni giorno, facendo del ricordo delle visite uno stimolo nel lavoro, e quindi nella didattica e nel confronto con i ragazzi”. Mentre un’insegnante del liceo scientifico di Cascina, vicino a Pisa, che vive come altri docenti di questo Treno della memoria 2013 la sua prima esperienza, l’apprezzamento va ai corsi di preparazione frequentati “che mi hanno consentito di superare la sensazione di non essere abbastanza pronta per un’esperienza così forte, per la quale è indispensabile, studenti e docenti, essere preparati”.
Ha ragione Ugo Caffaz, quando dal microfono, dando la parola al presidente della Toscana, ricorda ancora una volta che “non c’è futuro senza memoria”; questi ragazzi, questi insegnanti sono pronti per mantenere la memoria e consegnarla a chi verrà dopo.

17.36 Dopo la visita nell’inferno gelido di Birkenau qualsiasi parola rischierebbe di suonare retorica e inutile. Meglio forse, allora, mezz’ora di silenzio nella propria camera al ritorno. Mezzora di silenzio ogni giorno. Il presidente della Toscana chiude il foglio con gli appunti del discorso che aveva preparato e va a braccio, mentre un groppo alla gola tradisce l’emozione e gli offusca per un attimo la voce. Dopo la visita al campo di Birkenau, quattro ore di processione sotto una nevicata quasi ininterrotta, è il momento della commemorazione ufficiale. Essere qui è un’esperienza che ti cambia la vita, sottolinea più volte . Lo racconta anche alle televisioni polacche che lo intervistano e gli chiedono perchè la Toscana organizza dal 2002 il treno della memoria, con più di cinquecento ragazzi ogni volta a bordo. Parti pensando di sapere, ma torni diverso.Sempre più stretti nei bilanci, la Regione poteva essere tentata di tagliare. Non l’ha fatto, sottolinea il preisdente, perchè è un servizio essenziale: un servizio essenziale per la democrazia. Ancor di più in momenti di crisi come questo, dove certi fantasmi neri del passato possono trovare terreno fertile e i tarlo della discriminazione e del razzismo dilagare.

Passato e presente Il governatore toscano intreccia nel suo intervento passato e presente, la cronaca di paesi più o meno lontani e fatti di casa nostra. Consiglia il viaggio a chiunque scappino parole leggere su quello che è stato, a chi. dice “Non sono razzista, però …”, a chi non vede in fondo differenza tra i nazisti e chi li combatteva. La differenza c’è invece, afferma risoluto, e sta nel fine per cui combattevano: loro per la libertà e il rispetto della persona, i primi contro la persona. Non c,è futuro senza memoria, ma è sul presente che si costruisce, aveva ammonito poco prima dai microfoni, davanti ai gonfaloni e ai ragazzi, Ugo Caffaz, anche lui visibilmente commosso nonostante non sia certo la prima volta a Birkenau, esponente della comunità ebraica fiorentina e coordinatore del Treno della memoria. E’ accaduto e dunque può succedere di nuovo, scriveva Primo Levi. Ed è così, scuote la testa il presidente della Toscana. In forme diverse, ma con lo stesso spirito di chi vede nella perspona non un fine ma uno strumento. Un attentato alla nostra Costituzione: merito sì ma anche uguaglianza nei diritti, ai nastri di partenza e all’arrivo.

I deportati e gli immigrati Il presidente della Toscana guarda le baracche progettate per essere stalle da campo ed ospitare 52 cavalli ma dove venivano stipate 400 persone ed a volte anche 800, in almeno cinque su ciascun piano dei letti a castello. Ascolta i racconti. Parla con le sorelle Bucci, uniche bambine italiane sopravvissute a Birkenau, testimoni per la sesta volta sul treno toscano.. Guarda e pensa alla Thailandia e al Vietnam, al Sudafrica, alla Bosnia e al Ruanda. E lo dice nella commemorazione ufficiale al campo di Birkenau. Ricorda anche i giovani napoletani di Casa Pound che progettano di stuprare una ragazza ebrea perché ebrea, i senegalesi uccisi l’anno scorso a Firenze, la manodopera nera sfruttata a Rosarno, i campi rom incendiati e i 17 mila giovani sprofondati nel mare tra l’Africa e l’Italia, alla ricerca di un futuro diverso per sfamare le proprie famiglie. Uccisi dal mare, e poi dall’indifferenza.. Mortificati nel non rispetto della loro persona. Che è poi quello, conclude il presidente della Toscana, che accadeva allora settanta anni fa. Gesti di folli, ma folli parte di un sistema più vasto. Un sistema e un’indifferenza che il presidente della Toscana invita i giovani a combattere, sicuro che dopo questo viaggio siano attrezzati per farlo.