Laura Vigni sul Viva Maria: ‘La furia del revisionismo non alteri la storia’

di Laura Vigni

Il revisionismo storico sulle insorgenze, che sta alla base del dibattito ospitato dal “Corriere di Siena” a seguito dell’assegnazione del premio “Viva Maria”, non è un fenomeno recente, ma trova origine in un testo del 1932 di Giacomo Lumbroso, I moti popolari contro i francesi alle fine del XVIII secolo, nel quale si sosteneva che le rivolte come il Viva Maria e il sanfedismo napoletano, furono un movimento patriottico spontaneo, scoppiato per difendere i valori morali della religione popolare, contro gli occupanti francesi e i giacobini italiani loro alleati. Questa tesi – all’epoca aspramente criticata da Benedetto Croce – è tornata protagonista del più recente dibattito storiografico, grazie anche alla ristampa del volume nel 1997, a cura di Oscar Sanguinetti, direttore del milanese Istituto per la storia delle Insorgenze, ma anche ai contributi di Massimo Viglione. Vari studiosi revisionisti hanno quindi esaltato “il sanfedismo come spontanea manifestazione di patriottismo e di fierezza popolare diretta contro lo straniero che veniva a calpestare le tradizioni e i costumi aviti” (Carlo Capra). Per quanto viziate da un’evidente forzatura ideologica tradizionalista, bisogna ammettere che queste tesi hanno indotto molti storici di area laica a guardare con più attenzione al ruolo giocato dalla religiosità popolare nei movimenti antifrancesi, rispetto ai soli fattori economici, quali la crisi annonaria, o politici, come gli interessi inglesi.

Furia revisionista La preoccupazione è che la furia revisionista non porti ad alterare la storia, finendo per mettere in secondo piano le ingiustificabili violenze commesse in nome della Madonna del Conforto, soprattutto verso gli ebrei. In effetti la conclusione del libro di Gallorini e il suo intervento sul Corriere di Siena uscito lunedì, solo apparentemente finalizzati ad addebitare ai senesi il massacro del 28 giugno 1799 sminuendo la responsabilità degli aretini, cercano di ridimensionare la violenza insita nel movimento del “Viva Maria”. Ciò rivela con evidenza il vero scopo di tutto questo dibattito, che non vuole comprendere meglio una pagina nera della nostra storia, ma riabilitare il movimento cattolico tradizionalista che nei fatti tollera e giustifica l’antisemitismo.

Non è campanilismo Se invece vogliamo davvero analizzare i fattori scatenanti e l’andamento del “Viva Maria”, non si può fare una questione di campanile perché è noto che il movimento nato ad Arezzo si conquistò molte simpatie anche a Siena fra il popolo, la nobiltà e il clero. Alcuni bottegai di Piazza Tolomei, capeggiati dal farmacista Gaetano Bandini, stabilirono rapporti con la Suprema Deputazione di Arezzo che dirigeva la rivolta e le inviarono segretamente una formale richiesta di intervento militare, redatta dal professore Alessandri, come racconta l’annalista Buonsignori. Il complotto era sostenuto anche da alcuni nobili conservatori e avallato dalle massime gerarchie ecclesiastiche, ed in particolare dall’Arcivescovo Zondadari. Perciò, quando gli aretini si presentarono a Porta Romana, in città già i sostenitori del “Viva Maria” si erano organizzati per attaccare non già i soldati francesi, che vennero lasciati fuggire verso la Fortezza, né per arrestare l’ex commissario Abram che si trovava alla villa di Torre Fiorentina, quanto i democratici che avevano collaborato con la Repubblica e gli ebrei. Il Bandini capeggiò il saccheggio della residenza del comandante francese Ballet dentro palazzo Sergardi, ma fu presente anche nell’assalto al ghetto e partecipò ai furti, come testimonia un atto ufficiale conservato nell’archivio della famiglia Bandini. Nell’agosto 1799 Raffael Vita Castelnuovo attestava che il Bandini gli aveva restituito “diverse scritture, fogli e libri di somma importanza, quali fogli unitamente ad altra maggior quantità di quanto esisteva nel negozio della mia ragione Samuel e Daniel Castelnuovo, furono portati via e rubbati dal mio negozio nel dì 28 giugno scorso all’occasione dell’ingresso in questa città delle truppe in massa”.

Violenze e saccheggi La violenza accompagnava e costituiva un fattore aggregante delle schiere del “Viva Maria”, nel loro viaggio verso Siena: dai paesi della val di Chiana giungevano notizie sulla caccia ai giacobini (o presunti tali) che avevano rivestito cariche pubbliche e agli ebrei, tanto che molti esponenti della comunità di Monte San Savino si erano trasferiti a Siena proprio per sottrarsi alle violenze. L’anatomista Paolo Mascagni, democratico che era stato membro della municipalità provvisoria, rischiò di essere ucciso da un gruppo di aretini che lo andò a prelevare a casa, e si salvò solo perché un senese che lo conosceva come medico deviò il colpo di bastone. Moltissimi accusati di aver collaborato con i francesi vennero incarcerati senza processo (le prigioni non bastarono e si dovette adattare a carcere anche il convento di S.Agostino), così come furono oggetto di violenze alcune nobili che avevano avuto rapporti con ufficiali francesi. In questo contesto si verificò l’episodio più drammatico dell’assalto al ghetto, con spaventose violenze su donne, vecchi e bambini bruciati vivi ai piedi dell’albero della libertà piantato dai francesi in Piazza del Campo. Tutte le atrocità commesse non possono trovare spiegazione nei presunti favori concessi dai francesi alla comunità ebraica (che era già stata emancipata da Pietro Leopoldo), e contrastano con la lunga tradizione di pacifica convivenza con i cristiani. Si trattava del resto di un gruppo piuttosto povero, impegnato in piccole attività poco redditizie cui non potevano essere attribuite responsabilità sull’aumento dei prezzi del grano o speculazioni. Perciò dev’essere chiamato in causa l’antisemitismo persistente nella profondità della religiosità popolare, richiamato in superficie dal clima eccitato dell’invasione che autorizzava ad ogni eccesso. Attribuire queste violenze ai senesi e non al movimento del “Viva Maria” non ne sminuisce la gravità e costituisce una deformazione polemica delle tesi finora sostenute dal revisionismo che spiegava quegli atti come conseguenza dei comportamenti messi in atto dai soldati della Repubblica francese e dai giacobini italiani, che con l’occupazione militare e le offese alla religione cattolica avrebbero provocato a tal punto i devoti sudditi, da scatenare la loro reazione in forme eccessive. Non vale proprio la pena di farsi trascinare in tali discussioni, perché la grande mole di studi prodotti in questi anni, basati su approfondite analisi della documentazione d’archivio e già citati da Roberto Barzanti con le cui valutazioni concordo pienamente, consentono a questo punto di esprimere un equilibrato giudizio su quegli avvenimenti accaduti 200 anni fa, da leggere con il necessario distacco e senza condizionamenti ideologici.