“Basta offendere la banca dove lavoriamo”. Due dipendenti montepaschini scrivono all’onorevole Gianni Fava

“Prego l’onorevole Gianni Fava di evitare in futuro di dire, nelle occasioni pubbliche in cui si parli della possibile esternalizzazione di dipendenti Mps che Banca Monte dei Paschi di Siena sia una banca tecnicamente fallita. Dovrebbe evitarlo per due fondamentali motivi: il primo è che è un’affermazione non corrispondente alla realtà. Il secondo, altrettanto importante, è che non fa certo il bene dei dipendenti che afferma di voler tutelare”.

 

Lo scrivono alla Gazzetta di Mantova due dipendenti montepaschini di Mantova, marito e moglie, che non ne possono più delle quotidiane esternazioni di Fava, mantovano, leghista e commissario straordinario del Carroccio in Toscana. La considerazione contenuta nella lettera è banale ma dovrebbe essere fatta propria anche dalla classe politica che in questo periodo si accapiglia sul Monte, come se la banca fosse un partito politico e non una azienda che dà lavoro ad oltre 30mila persone ed ha milioni di clienti che potrebbero anche decidere di servirsi altrove. Così non ci sarebbe più niente da rilanciare e nessun motivo su cui discutere. L’ultimo della serie è stato il rottamatore Matteo Renzi, che ha usato questo argomento per attaccare Pierluigi Bersani e il Pd e difendersi dalle accuse di flirtare con la finanza offshore. Ha fatto un bel favore alla principale azienda della sua regione. “Una delle condizioni essenziali per tutelare il lavoro – fanno notare i dipendenti a Fava – è che le imprese producano reddito. Questo compito è già reso difficile dal contesto economico. A Mantova, anche grazie alla storia ultracentenaria di Bam, Mps ha una consistente quota di mercato e sostiene buona parte dell’economia del territorio”.

 

Parole sante a cui dovrebbero dare ascolto i politici nazionali (anche Maurizio Gasparri del Pdl ha esternato nei giorni scorsi) e quelli senesi che fra dichiarazioni stile Fava, risse e accuse incrociate che fanno da corollario a manifesti mortuari e dossieraggi continui, non sembrano avere piena contezza delle difficoltà in cui si muove la banca in questo momento. La magistratura chiarirà se e quali responsabilità ci sono state, il vecchio management è stato sostituito ed ai nuovi si chiede di rimettere in piedi l’azienda e di difenderla dagli attacchi, come ha fatto l’amministratore delegato Fabrizio Viola rispondendo per le rime all’agenzia Moody’s che ha declassato il Monte. Tutti i soggetti interessati dovrebbero fare uno sforzo per spingere in questa direzione perché la priorità è rilanciare la banca e la sua redditività come base per una ripresa di tutto il territorio. Il clima che si respira dimostra invece che il Monte dei Paschi da bene collettivo della comunità, e forse di questo Paese, si è trasformato nel campo di battaglia di una campagna elettorale mai come adesso povera di contenuti, ricca solo di slogan e dove ognuno pensa a se stesso.

 

“La sua affermazione – dicono Massimo e Federica Dall’Aglio, entrambi dipendenti, uno dei due a rischio esternalizzazione – non aiuta noi dipendenti nel rapporto quotidiano con la clientela, né agevola il conto economico della Banca”. Fra le tante cose dette sul Monte in questi mesi, forse questa è la più intelligente. Non è venuta dalla politica, da un manager particolarmente ispirato, da un economista e nemmeno dal sindacato. Hanno tutti perso un’occasione. Viva i coniugi Dall’Aglio.

 

Stefano Bisi