Senio Sensi, Senesità

“Senesità” è un libro che può essere letto in diversi modi. Innanzitutto, come suggerisce il sottotitolo – “racconti di vita vissuta” –, “Senesità” raccoglie e riunisce una serie di prose nelle quali la forma non risulta mai meno importante del contenuto. Prova ne è la sensazione di piacere suscitata nel lettore dallo stile terso e scorrevole, che privilegia il registro medio, che è accurato e sorvegliato nel lessico, che non rifugge dall’ironia (“Potrebbe essere quasi, come si dice, “il colmo” per uno dell’Oca. Eppure, a me piace… andare per torri”). In secondo luogo, “Senesità” è un saggio storico, al centro del quale è collocata la città di Siena – la politica, l’economia, il tessuto sociale, le tradizioni, la cultura, le vicende giudiziarie, i fatti di cronaca – nel momento di passaggio da una condizione di benessere e di ricchezza a un’altra di profonda crisi, crisi che ha nella “ingloriosa fine del nostro gioiello più puro, il Monte dei Paschi, depredato e umiliato” – scrive nella sua Prefazione Luca Luchini – la sua espressione drammaticamente più evidente. Vero è che oltre che soffermarsi sulle vicende cittadine (e nazionali) che si distribuiscono nell’arco cronologico 1985-2021, suggerito dalle stesse date di pubblicazione degli articoli apparsi su quotidiani, periodici, libri, e che sono riportati in appendice di volume (pp. 205-277), l’autore ama risalire sovente più indietro nel tempo, come gli accade in “Amore per Caterina”, “La colonna sonora della città”, “Quanto conta la politica in Contrada?”. Da ultimo “Senesità” è anche un libro autobiografico, come già attesta l’incipit di alcuni racconti: “Leggere e scrivere è stato io mio passatempo preferito fin da bambino”, “Sono nato nella strada di Siena che porta il suo nome, a cento metri da dove nacque nel 1347”, “Mi è capitato di tenere una conversazione a una ventina di ragazzi della Cecco Angiolieri”, “Mi sono sempre domandato il perché di questa piccola mania; potrebbe essere collegata a qualche fatto della mia infanzia”. 

Affetti, luoghi, giochi, passatempi, personaggi bizzarri, angoli del rione che lo hanno visto bambino prima, ragazzo e uomo maturo poi, riacquistano poco alla volta vita, velando la scrittura di Senio Sensi di sottile malinconia.  E accanto a questi momenti, che rimandano alla dimensione privata dell’esistenza, pagina dopo pagina acquistano rilievo quelle che dell’autore sono state le due grandi passioni “pubbliche”, sovente avvertite e vissute come altrettante vocazioni: la politica (sia come militanza attiva sia come oggetto di riflessione e di analisi) e la scrittura, a partire da quella giornalistica, che rinviene nella direzione del periodico di storia, arte e cultura “Il Carroccio” uno dei suoi snodi fondamentali. Insieme a quello della politica e della scrittura, “Senesità” esibisce un terzo, grande amore dell’autore: quello per la contrada dell’Oca, di cui è stato anche Governatore dal 1988 al 1996. Ma se i primi due amori sono stati non soltanto motivo di gioia, ma anche di amarezza – accade, per tutto ciò che è “relativo” –, l’amore per la propria contrada – succede, con tutto ciò che è “assoluto” – è percepito come dono, privilegio, felicità, che si pone al di là di ciò che è consuntivo, bilancio, distinzione tra costo e beneficio, tra delusione e soddisfazione.  Ed è in questa maniera e con questo spirito che Senio Sensi lo racconta al lettore. Il passo che segue è tratto dal capitolo di apertura, nel quale l’autore rivendica con forza il significato che per lui ancora possiede l’espressione “identità senese”, che non collide affatto con l’idea di identità plurime e di molteplicità di appartenenze (a una famiglia, a un campanile, a una regione, a una nazione, a una confessione religiosa, a una realtà trasnazionale), tanto cara a sociologi e storici contemporanei.             

     

“‘Identità è un tema sul quale il dibattito culturale (e politico) c’è stato in passato e sembra rifiorire con accenti spesso inaccettabili. “Uno vale uno” è un tema caro ad una parte politica che vuole imporci la “decrescita felice”. Secondo certi intellettuali, identità, tradizione, radici costituiscono steccati mentali intorno al felice mondo che abbiamo perduto, condizione psicologica tanto postulata quanto surrettizia e tanto più avvertita nella microdimensione locale, investita e contaminata incessantemente da un bisogno di sicurezza, un’illusione di continuità e di stabilità, un’idea di inimitabile unicità, una ricerca o addirittura una rivendicazione delle radici (da S. Gruzinski, “Abbiano ancora bisogno della storia? Il senso del passato nel mondo globalizzato”, Raffaello Cortina, Milano 2016). Oppure: identità è parola imparentata maledettamente con “ideologia” e ogni ideologia “scatena” – è stato scritto da Silvia Ronchey – il contrarsi del sapere sul passato in un credo univoco e trasforma i dati relativi della storia in assoluti ideologici, in un’ansia di purificazione della loro molteplicità, ambiguità, ibridità”. La logica identitaria aristotelica postula che A=A e quindi non è possibile che A sia diverso da A. Mah… Si conoscono definizioni meno feroci: “‘identità, nella sociologia, nelle scienze etnoantropologiche e nelle altre scienze sociali riguarda la concezione che un individuo ha di se stesso individuale e nella società, quindi l’identità è l’insieme di caratteristiche uniche che rende l’individuo unico e inconfondibile, e quindi ciò che ci rende diverso dall’altro. L’identità non è immutabile, ma si trasforma con la crescita e i cambiamenti sociali’”. 

Senio Sensi, Senesità, Betti, Siena 2022

a cura di Francesco Ricci