Sandro Briosi, Commento a La coscienza di Zeno

La grandezza di Italo Svevo e l’importanza della “Coscienza di Zenonel panorama del romanzo del Novecento appaiono a tal punto riconosciute da risultare perlomeno curioso che io torni a parlarne all’interno della rubrica “Fiction&Libri”, che si prefigge lo scopo di richiamare l’attenzione del pubblico su libri da poco pubblicati o ancora poco noti. L’uscita, però, per i tipi di Carocci, di una nuova edizione commentata della “Coscienza di Zeno”, mi spinge a soffermarmi sul capolavoro dello scrittore triestino. A curare tale edizione, infatti, è stato Sandro Briosi (1941-1998), docente di Letteratura italiana prima presso l’Università di Groningen, in Olanda, poi presso l’Università di Siena, la quale, grazie anche al suo impegno, è venuta progressivamente occupando il centro di un’ampia rete di rapporti internazionali.

Alla morte di Sandro Briosi, nel 1998, venne rinvenuta una cartellina di cartoncino – custodita dentro un faldone d’archivio – che conteneva il “Commento a La coscienza di Zeno”, commento che era stato portato a termine almeno cinque anni prima, senza mai, però, essere dato alle stampe. Ora, finalmente, per volontà della moglie, Claudia Dal Maistro, per interessamento di Romano Luperini, che di Sandro Briosi è stato collega e amico, e grazie allo scrupolo filologico di Marco Gaetani, uno dei suoi allievi più brillanti all’Università di Siena, il “Commento” è in libreria. A caratterizzare il lavoro a me sembra che siano in particolare tre elementi, ben presenti e ravvisabili tanto nell’introduzione (pp. 33-71) quanto nelle note al piede del testo, le quali, quantitativamente, oscillano tra le cinque del secondo capitolo (“Preambolo”) e le duecentosessantadue del settimo capitolo (“Storia di un’associazione commerciale”).

Questi tre elementi sono la chiarezza discorsiva – di ascendenza debenedettiana – della scrittura, l’acutezza delle osservazioni e delle puntualizzazioni, la complicità cordiale, e spesso divertita (d’altronde, la mite ironia fu una delle qualità eminenti del Briosi uomo, ancor prima che del Briosi saggista e critico), che lo studioso instaura col lettore. Il risultato finale è un libro che se da un lato può risultare uno strumento prezioso per chiunque si accosti all’opera maggiore del più europeo tra gli scrittori italiani, dall’altro offre un ulteriore contributo a chi intende approfondire la letteratura di inizio secolo, magistralmente indagata da Sandro Brioschi già nei suoi precedenti studi su Renato Serra, la rivista “Solaria”, Elio Vittorini. Il volume è arricchito da un’ampia premessa scritta da Marco Gaetani, che ripercorre gli snodi fondamentali dell’approccio critico di Brioschi, approccio indagato sia nei suoi modelli, nei suoi maestri, sia nei suoi tratti caratterizzanti (che si collocano all’interno di un orizzonte essenzialmente fenomenologico). Quello che segue è l’incipit dell’Introduzione, incipit che costituisce un esempio significativo del nitore espressivo che contraddistingue l’intero “Commento a La coscienza di Zeno”.          

La coscienza di Zeno è considerato come uno dei romanzi più importanti di quella stagione delle cultura europea che si situa a cavallo tra i due secoli e a cui si danno diversi nomi. Chi misura questa stagione guardando all’indietro parla di “epoca della crisi”: intendendo crisi dei valori, del modo di conoscere e del modo di rappresentare la realtà tipico dell’Ottocento. I critici che, in fondo, partono da una nostalgia di quest’epoca parlano, più che di crisi, di “decadenza”. Da “decadenza” deriva “decadentismo”: un termine con cui per molti anni, sotto l’influenza di Benedetto Croce, si è etichettata, e svalutata, praticamente tutta la letteratura più significativa del nostro secolo. Chi invece guarda avanti usa più volentieri, riferendosi allora a una stagione più limitata, quella dei primi decenni del secolo, il termine di Avanguardia: e con questo intende collocare Svevo fra gli autori che hanno rinnovato più profondamente i modi di far letteratura e hanno perciò segnato la strada entro cui non può non mantenersi chiunque voglia essere “moderno”. (Il termine di Avanguardia viene usato così, naturalmente, in un senso assai ampio, mentre in un senso più ristretto lo si usa per riferirsi a quei movimenti – il futurismo, il surrealismo – che in modo esplicito e programmatico si propongono fini di “rivoluzione” letteraria, di radicale rottura col passato.) Vedremo alla fine, nell’Appendice di storia della critica, qualche esempio di questi modi di valutare il nostro scrittore. Intanto potremmo dire questo, per prendere una posizione nel dibattito e chiarire il senso delle nostre osservazioni che seguono. Il periodo dell’Avanguardia è ormai terminato da molto tempo. L’impressione di poter aprire vie radicalmente nuove ai modi di rappresentare letterariamente, di conoscere la realtà non è certo più dominante nella nostra cultura. Molti grandi scrittori contemporanei sembrano a prima vista assai “tradizionali”. Tuttavia i grandi innovatori dell’inizio del secolo hanno lasciato un segno che non si può cancellare; direttamente o indirettamente, in modo cosciente o meno, chi scrive oggi non può non ricordare la loro lezione”

 

Sandro Briosi, Commento a La coscienza di Zeno, Carocci, Roma 2020

 

a cura di Francesco Ricci