Romanzo della vita di Dionisio Pratelli, un romanzo familiare

Un romanzo familiare è sempre un guanto di sfida gettato al tempo. Illude (fa illudere) il lettore che qualcosa di noi, e di coloro che più abbiamo amato, resterà nel continuo vanire e svanire di cose e di persone. Si offre come esempio di scrittura “che salva”, di scrittura, cioè, che “mette in salvo” sulla pagina ciò che un giorno ebbe luogo in un’esistenza, quale è quella della maggior parte di noi, comune, consueta, talora perfino banale, piccola, ma non per questo meno significativa. Mescola grazia e malinconia, la stabilità del gruppo e la caducità dell’individuo, la totalità organica e l’anarchia del particolare.  

Romanzo della vita di Dionisio Pratelli è, in primo luogo, un romanzo familiare, e, in quanto tale, non si sottrae a tali regole, a tale finalità. Tra il podere di Pozzolo, che dista qualche chilometro dal paese di Sant’Ermo, in provincia di Pisa, Siena (strada di Pescaia) e i dintorni di Siena (la fattoria di Casabianca), l’autore intesse il racconto delle vicende della propria famiglia, prendendo le mosse dall’incontro prima, dal matrimonio poi, celebrato nel giugno del 1936, dei suoi genitori, Adamo e Beatrice.  Nel parlare di sé e dei propri familiari (a partire dalla sorella Anna Lucia) Dionisio Pratelli finisce col parlare di un’intera generazione, quella di chi fu bambino prima, ragazzo poi, negli anni Quaranta, e di un lembo della campagna toscana, che vedeva proprio allora entrare definitivamente in crisi il sistema di produzione mezzadrile.

In quest’ottica, acquista grande rilievo la studiata simmetria del romanzo. Ad aprirlo, infatti, sono le parole: “Era il 1936, anno felice per mio padre: era riuscito a prendere in sposa mia madre”. A chiuderlo, invece, incontriamo, in relazione al gioco (a squadre) della ruzzola, la seguente osservazione: “In definitiva era una partecipazione corale che spesso impegnava, nella bella stagione, la domenica mattina, gli uomini più giovani della zona”. Da un lato, dunque, abbiamo un’esistenza privata, singolare, quella di Adamo Pratelli, il padre dello scrittore, che corona il proprio sogno d’amore unendosi in matrimonio con Beatrice Petroni; dall’altro, ci troviamo al cospetto di un’esistenza pubblica, plurale, quella della comunità che gravita intorno alla fattoria di Casabianca e che rinviene nel gioco uno dei pochi momenti di svago e di divertimento, capace di alleviare il peso  delle fatiche legate al lavoro nei campi (in Romanzo della vita è assente, infatti, ogni idealizzazione della campagna: questa comporta in primo luogo fatica, sudore, pena).

L’amore di Pratelli – che non diviene mai acritica celebrazione – per la vita rurale, spiega la cura quasi documentaria riposta, nella seconda parte del libro, nella descrizione delle attività delle donne e degli uomini. La cucina, la preparazione del sapone e il bucato, il telaio per le prime; l’orto e le potature, la mietitura, la trebbiatura, l’aratura del terreno e la semina per i secondi, alle quali occorre aggiungere la vendemmia, la sfogliatura delle pannocchie, la raccolta delle olive e la frangitura: sono questi i lavori che scandiscono le giornate dei contadini da poco usciti dalla guerra e che, insieme alla celebrazioni delle feste, a qualche gita, a qualche sagra e qualche gioco di gruppo, fanno del romanzo di Pratelli un sorta di moderna rivisitazione in prosa delle Opere e i giorni di Esiodo. 

Vero è che l’importanza e la bellezza di un romanzo familiare non risiedono unicamente nello sforzo tenace, e spesso premiato, di arrestare la diaspora degli anni e di contenere le devastazioni che il tempo produce, col suo trascorrere, nelle esistenze delle persone e nelle cose. Romanzo della vita è, certamente, anche il recupero memoriale, da parte dell’autore, della propria infanzia ormai lontana nel tempo, è un esauriente repertorio di occupazioni, usi, attrezzi, arnesi impiegati in campagna (un ideale museo dell’agricoltura), è un puntuale affresco delle relazioni sociali e dei rapporti umani, che il boom economico dei primi anni Sessanta – il “miracolo all’italiana” di Giorgio Bocca, “l’inattesa Belle Époque” di Italo Calvino – di lì a poco avrebbe ora ridisegnato, ora cancellato. 

Soprattutto, però, il libro di Dionisio Pratelli si propone di fare rinascere, affidandoli alla parola scritta e donando loro in questo modo salvezza e durata, le emozioni, gli stati d’animo, i sentimenti di coloro che la voce narrante ebbe un giorno più cari: uomini e donne, adulti e ragazzini, ora individuati con un nome, ora mostrati come parte di una folla anonima e indistinta. E ancor di più della loro vita affettiva, è la propria vita affettiva che lo scrittore incontra e recupera in questa sua personalissima Recherche. La gioia di una corsa a perdifiato nelle sere d’estate, il dolore per un rimprovero materno o per le conseguenze di un incidente domestico, il calore dell’amicizia, la tristezza per la partenza degli amati cugini genovesi, la vergogna per uno sbaglio, l’audacia che ignora ogni rischio e che tutto osa provare: il viaggio nella memoria per Dionisio Pratelli non rinviene, dunque, la sua conclusione nel semplice riappropriarsi mentalmente di uno spazio fisico e concreto (Sant’Ermo, Casabianca, Siena), dove tornano a rivivere azioni, attività, abitudini, gesti, comportamenti che rimandano a un tempo lontano e concluso. Piuttosto, esso ha il suo epilogo nel restituire vita e visibilità a un’interiorità, quella della voce narrante, che il tempo trasforma (ha trasformato) non meno di quanto trasformi (abbia trasformato) i volti e i corpi delle persone. Di questa dimensione intima e affettiva del soggetto la memoria, come scriveva Umberto Saba a proposito della giovinezza triestina della moglie Lina, “cari frammenti ne riporta in dono”.  

 

Romanzo della vita di Dionisio Pratelli

 

di Francesco Ricci