Riccardo Bruni, Una sera di foglie rosse

Gabrielle Sessa, Coppia e cambiamento, Il Fiorino, Modena 2018

Il giallo giudiziario (Turrow, Grisham) è un genere che solamente a partire dai primi anni Ottanta del secolo scorso ha conosciuto una larghissima diffusione presso il pubblico, complice anche il successo delle riduzioni cinematografiche e televisive di alcuni romanzi. E un giallo giudiziario è anche l’ultima fatica di Riccardo Bruni (Orbetello 1973), giovane scrittore che già può vantare una ricca produzione alle spalle, conosciuta e apprezzata anche al di fuori dei confini italiani. “Una sera di foglie rosse”, è questo il titolo del suo ultimo libro, vede nei panni del protagonista un avvocato, Leo Berni, che si ritrova a indagare, insieme al cronista Claudio Perrone, intorno alla scomparsa di una donna, Gabriella Gabellieri, nota critica d’arte, da lui amata in anni lontani e che poi ha sposato un medico del policlinico Le Scotte, Saverio Boncelli, sul quale finiscono per cadere i sospetti, al punto da venire arrestato dopo il rinvenimento del cadavere della moglie in un bosco (“Durante la notte, Saverio è stato trasferito dalla camera di sicurezza della questura a una cella in Santo Spirito. Carcere”). Ma più delle informazioni relative al ménage familiare (dissidi, contrasti, litigi tra i coniugi) sarà l’attento esame dell’attività professionale di Gabriella Gabellieri – di quella legata, in particolare, all’allestimento al Santa Maria della Scala della mostra del pittore Duccio di Portaluce – a imprimere una svolta decisiva alle indagini. Se a ciò si aggiunge il fatto che l’esposizione consta di diciassette dipinti, che Portalucenon è soltanto lo pseudonimo dell’artista senese Franco Marelli,ma anche l’esatto corrispettivo lessicale di Lucifero (alla lettera “colui che reca la luce”), che la vicenda è ambientata a Siena, dove il numero 17 richiama alla mente non tanto la prima somma di due quarte potenze o la somma delle cifre del suo cubo (17 alla terza = 4913), non tanto la scaramanzia e la sfortuna, quanto le contrade, con le loro rivalità e le loro alleanze, allora appare evidente che la definizione di giallo giudiziario è solamente una definizione di comodo, che non esaurisce la ricchezza di un libro avvincente e godibilissimo, il quale accoglie suggestioni e spunti ricavati anche da altri sottogeneri del romanzo, da film, da canzoni. Il passo che segue è tratto dal capitolo iniziale e consente di cogliere due elementi importanti dello stile di Riccardo Bruni, vale a dire la rapidità e il ricorso all’ironia.           

“Un uomo in vestito grigio e cravatta osserva la lista dei nomi, riportata in un foglio fissato con una puntina sulla porta dell’aula. Stringe gli occhi, si sfiora il mento. Riflette. “Avvocato, lei è il prossimo?” gli chiede un tizio in impermeabile e borsa di pelle in mano. Ha quel tono di voce fastidioso che non sai perché è fastidioso ma ti infastidisce lo stesso. Come il rumore delle unghie su una lavagna. Fa venire i brividi. Si dice che sia per il fatto che è simile al verso di un uccello preistorico che per l’uomo era molto pericoloso, e allora un rimasuglio di istinto di sopravvivenza ce lo rende insopportabile. In pratica, quel tipo di sofferenza uditiva ci mette al sicuro. Per la voce di questo tizio in impermeabile e borsa di pelle in mano, che si chiama Garrone, vale un po’ lo stesso discorso. Quando la senti ti dà fastidio, e quel fastidio ti salva perché eviti di cadere nella trappola di una conversazione che avrebbe lo stesso decorso straziante di una colica renale mattutina. Da anni Garrone cerca di entrare nel consiglio dell’ordine, ma ogni volta finisce trombato alle elezioni. È la sua ossessione, quella che prima o poi farà di lui un serial killer. Ed è per questo che sta cercando di attaccare bottone con colui che subito ha identificato come un collega. “Sì, dovremmo esserci” gli risponde l’uomo in vestito grigio. “Fra poco tocca a me.” Indica il pezzo di carta appeso alla porta. Quel foglio lo chiamano “lista della spesa”. È una sfilza di nomi, ognuno associato a un numero, che viene appiccicata all’entrata dell’aula dove si trova il giudice dell’udienza preliminare. Ogni voce corrisponde a un imputato, ogni numero si riferisce all’articolo del codice penale o alla legge che l’imputato è accusato di aver violato”.