Riccardo Bruni, Chiusa nel buio

Ciò che maggiormente colpisce nell’ultimo libro di Riccardo Bruni è il linguaggio impiegato. La trama, certo, è avvincente, ma che il giornalista e scrittore di Orbetello le sue storie le sappia costruire bene, lo sappiamo già da tempo, o almeno lo sa il lettore della trilogia “I casi dell’avvocato Berni”. Analogamente, la forza del legame – un legame quasi di necessità – che connette la vicenda narrata (in questo caso l’improvvisa scomparsa di una studentessa, Teresa, scomparsa che genera apprensione negli inquilini della casa di fronte alla sua, in particolare in Giulia) al contesto sociale e culturale, dominato da paure ed egoismi, e contraddistinto dalla pervasività delle nuove tecnologie digitali, le quali rendono tutti noi, al contempo, prossimi e distanti, controllati e controllori.

Ma è il linguaggio, a mio avviso, l’elemento di forza di questo romanzo. Trattandosi di un thriller, il confronto tra linguaggio letterario e linguaggio cinematografico è un dato di partenza ineludibile, che condiziona lo scrittore. Può condizionarlo di più, certamente, può condizionarlo di meno, ma sempre lo condiziona A differenza di altri generi e sottogeneri del romanzo, infatti, il giallo, il noir e il thriller si confrontano con una ricchissima e fortunata produzione di film e di serie televisive, che possiedono le loro costanti, peculiarità, tempi (nel significato di ritmo), elementi di forza (si pensi all’impiego della musica). Personalmente, inoltre, quando si parla di giallo o noir o thriller, ho sempre osservato – cosa che non direi in relazione ad altri generi – che colui che ama leggere un romanzo riconducibile a tali tipologie, è quasi sempre anche uno spettatore fedele di film e di serie televisive dello stesso tipo. Ecco, “Chiusa nel buio” è un’opera che contamina felicemente parola scritta e immagine, letteratura e cinema. E lo fa intervenendo con maestria sul piano del linguaggio (lessico, sintassi, dialoghi, descrizioni), e, in particolare, su tre delle sue articolazioni. La prima è costituita dalla narrazione di un’azione che si protrae nel tempo e dalla pittura di ambienti esterni o interni. In questo caso il ritmo appare più disteso, perché Riccardo Bruni vuole “far vedere” cosa accade o dove qualcosa accade: il lettore si avvicina, fin quasi a coincidere, con lo spettatore.

La seconda articolazione è rappresentata dalle parti dialogate. Dialoghi per lo più brevi, spesso essenziali, dove la parola possiede tanto una funzione comunicativa (chiarisce, rallenta, fa progredire la vicenda) quanto espressiva (aiuta a comprendere la psicologia e il mondo interiore dei personaggi). La terza, infine, è impiegata per dare visibilità e ordine a quella dimensione oscura, alogica, dionisiaca che è presente in ogni individuo, dimensione che vede pulsioni opposte convivere e istanze sentimentali confliggere. Il linguaggio, in questo caso, si pone al di là della grammatica (o, meglio, al margine della grammatica), si riduce a lacerti, a illuminazioni subitanee, che accendono una luce sugli abissi di tenebra dei protagonisti, come in questo passo: “Gli occhi vuoti. Spenti. Ha sbattuto la testa. / Andrea resta immobile. Cos’è successo? Lentamente le si avvicina. Si abbassa su di lei. Prova a toccarla. Prova a chiamarla”. Oppure: “Le manca l’aria solo a pensarci. / Farebbe di tutto per restare qui. / E la proposta di Andrea sarebbe perfetta. / Ma c’è quella cosa. Il modo in cui la guarda”. Il passo che segue è tratto dall’incipit e porta il titolo di “Epilogo. La casa della gente”:                     

“’Sembra un posto tranquillo, le pare? Uno come tanti. Eppure, è successo tutto qui.’ Il tassista si guarda intorno, mentre guida lentamente. La strada è stretta. Si inoltra tra vecchie mura di recinzione in mattoni rossi, piccole palazzine e cancelli oltre i quali si intuiscono appena giardini ombreggiati. ‘Proprio qui, dico. Ed è già passato più di un anno. Roba da non crederci. Mi ricordo il giorno, sa? Era la sera del 7 aprile. Sa perché me lo ricordo? Ero passato di qui due giorni prima. Portavamo la spesa a domicilio agli anziani. Due giorni. Roba da non crederci, lo ripeto. Proprio questa strada. Lo sa chi ha trovato quella donna? Un ragazzo che consegnava la pizza. Si era perso, per via della pioggia. Si rende conto? Era finito qui per sbaglio. Dev’essergli preso un colpo. A proposito, sa perché si chiama così?’ Cerca lo sguardo della persona che siede dietro attraverso lo specchietto retrovisore. ‘Via delle Magnolie, dico.’ ‘Ci sono delle magnolie.’ ‘C’erano. Un tempo.’ Sventola l’indice indicando i lati della strada e sfiora il vetro del finestrino, chiuso per via dell’aria condizionata. ‘Pare che un tizio che viveva da queste parti, un nobile, una specie di conte o un barone, chi c’ha mai capito qualcosa in quella roba, avesse questa fissa per le magnolie. Sa, uno di quei geni un po’ tocchi. E allora le piantò lungo tutta la strada. Fiorivano più o meno in questa stagione. Però oggi non ci sono più’”.

 

Riccardo Bruni, Chiusa nel buio, amazon publishing 2021.

a cura di Francesco Ricci