Piero Misciattelli, Lontananze

C’è molto di inattuale e molto di attuale in “Lontananze. Variazioni liriche di Piero Misciattelli”, ristampato (ristampa anastatica) da Betti e curato da Alfredo Franchi, al quale si deve anche il pregevole saggio introduttivo. E proprio nella coesistenza dell’“antea” e del “nunc” risiede, a mio avviso, larga parte del fascino del libro. L’inattualità concerne interamente il piano dello stile. La lingua selezionata, l’eleganza formale, la chiarezza espressiva, si ricollegano al classicismo della “Ronda” (e dell’altra rivista fondata nel 1919, “Valori plastici”), che assunse la prosa poetica e riflessiva di Leopardi a modello pressoché esclusivo di scrittura.  È sufficiente, per rendersene conto, passare in rapida rassegna alcuni incipit di paragrafo di “Lontananze”: “Oh i ricordi dell’acerba adolescenza!”, “Nel tempo antico, quando moriva un bimbo nel contado di Siena”, “Mi fu sempre cara la campagna senese”, “È tornata la primavera. Una donna mi sorride”, “Sempre, dopo, mi piacque indugiarmi, di notte, nella contemplazione solitaria degli spazi muti e immensi”, “La piazza del Campo è inondata di sole e di popolo. Il campanone suona a distesa”. Un modello, quello di Leopardi, che agisce anche a livello di cromatismo: la tavolozza dei colori, infatti, in Misciattelli, al pari di quella del poeta recanatese, appare parca, sicuramente lontana dalla vivacità e dalla ricchezza di colori di Pascoli, un autore, non a caso, poco amato, come d’altronde d’Annunzio, dai rondisti. Da ultimo, a confermare ulteriormente l’inattualità stilistica di “Lontananze”, c’è il frequente impiego di termini e di sintagmi ormai caduti in disuso, quali sono “artifizio”, “ringuattarmi”, “si tacquero”, “gli usati trastulli”, “tapinarsi”, “la limosina”, “ebri”, “un’intiera città”, “la muggente scia”, “vallate romite”, “il rusignolo”, “dal pio colono”. L’attualità dell’opera, invece, è legata a quello che a tutti gli effetti ne costituisce il tema di fondo. Le variazioni liriche di Piero Misciattelli – è questo il sottotitolo del libro – formano un vero e proprio Bildungsroman, che narra il passaggio dall’infanzia all’adolescenza, dall’adolescenza alla maturità.

Non a caso, tutt’altro che marginale appare lo spazio che l’autore dedica sia ai personaggi (la voce narrante, il padre, la madre) sia allo spazio fisico, a partire dalla città di Siena.  Particolare – il racconto del personale processo di crescita – e universale – l’esistenza tout court, definita da alcuni tratti comuni, che ricorrono in ogni individuo –, nel libro di Misciattelli convivono in felice equilibrio (e anche questo è un elemento che rimanda alla lezione di Leopardi). La conseguenza più immediata è che la “Bildung” (la formazione) dello scrittore, che procede per strappi, perdite, disincanti, turbamenti, viene riconosciuta dal lettore anche come la propria crescita, dove la perdita (di una persona, di un’aspirazione, di un’occasione) non sempre è risarcita dalla nuova conquista. Alla fine, quasi inevitabilmente, la nostalgia, come osserva giustamente Alfredo Franchi, risulta essere la “cifra costante” di “Lontananze”: ciascuno soffre “di” e “per” un impossibile ritorno a un’epoca, in cui ogni cosa e ogni persona parevano essere al loro posto. Un dolore, questo, che nell’artista è acuito dal tormento generato dal desiderio – anche questo destinato a rimanere inappagato, secondo il magistero di Mallarmé – di afferrare e imprigionare l’Idea, la Bellezza, l’Assoluto. Quello che segue è l’incipit del libro.      

“Un ricordo affiora, fra le nebbie dell’infanzia, al limite estremo della mia memoria. Mi riveggo in un paese romito dell’Umbria, nella sala d’un palazzo antico, triste, alto su le tettoie delle casupole sottomesse. Notte fonda e illune: d’estate. La mamma è venuta a svegliarmi mentre dormivo e mi ha condotto dinanzi alla finestra, in quella stanza buia, a vedere lo spettacolo. Visione giammai riapparsa nella mia vita. Migliaia e migliaia di stelle cadono, s’inseguono rapidissime, solcando in tutte le direzioni, come fuochi d’artifizio, il cupo cielo. Luci dell’infinito nell’infinito. Il firmamento sembra che rovesci su la terra tutti i suoi splendori. Non è una pioggia, ma un uragano di stelle; un turbine notturno di luce, Se mi fosse dato di rivivere pienamente un’ora del tempo passato, io sceglierei quella divina del mio primo stupore. Credo che mi nascesse quella notte nell’anima la poesia dei cieli”.

 

Piero Misciattelli, Lontananze, Betti, Siena 2021

 

a cura di Francesco Ricci