Perfetti sconosciuti, Paolo Genovese

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Con il suo ultimo lavoro, (dopo Immaturi, Una famiglia perfetta e Tutta colpa di Freud) il regista della “nuova commedia italiana” Paolo Genovese utilizza come location di Perfetti sconosciuti non le bellezze della manierata Roma, ma un semplice e scuro tavolo dove un gruppetto di amici decide di confrontarsi e far cominciare uno spiritoso gioco al massacro! Attraverso la condivisione, anche un po’ per sfida, dei i loro telefonini, accettano infatti l’idea provocatoria di leggere ognuno i messaggi, le mail, le chat degli altri e la commedia, o meglio, il dramma è servito. In questo bell’appartamento romano, che ricorda le stanze dei film sulla medio-borghesia della commedia all’italiana degli anni ’60 , (il pretesto per stare insieme è ammirare l’eclissi lunare dalla “terrazza”, e qui il riferimento a Ettore Scola è più che palese) ci sono i padroni di casa Marco Giallini e Kasia Smutniak, innamorati ma in netta crisi; i novelli sposi Edoardo Leo e Alba Rohrwacher; c’è il divorziato in sovrappeso Giuseppe Battiston, e ci sono i separati in casa Valerio Mastandrea e Anna Foglietta, in crisi silenziosa, con sorrisi forzati e occhiate feroci. Tre coppie più un single. II tavolo a cui i commensali sono seduti, Genovese riesce a trasformarlo in un palcoscenico quasi da vaudeville francese, dove la commedia degli equivoci si sa mescolare bene in un dramma esistenziale. Con le letture delle chat e delle “ “whatsappate”, con le voci fin allora sconosciute e ascoltate dai vari cellulari, nascono evidenti dissapori creati dalla macchinosa “scatola nera” dei segreti (così definita da Eva, il personaggio della Smutniak nel film) che, forse, riusciranno a compromettere amicizie e matrimoni. Ogni personaggio, ogni vecchio amico “imborghesito”, infatti, viene a galla dalla sua parte più sotterrata, e il suo equilibrio di coppia o singolo, comincia lentamente a disfarsi. Le certezze ( o quasi) di una vita sembrano sgretolarsi davanti agli amici di sempre, che anche meschinamente, tra sguardi e piccoli commenti, si trasformano proprio in perfetti sconosciuti.

Attraverso il gioco iniziale, il regista riesce a coinvolgere lo spettatore in questa cena importante, si compiace di come questi vecchi amici si rilancino battute, si assecondino nella loro amicizia creando anche finte alleanze, e alla fine arriva a spiazzarci ben inquadrando le sottigliezze dei loro volti che riflettono le mostruosità partorite (Risi docet.). Con le loro azioni e soprattutto reazioni e con i loro segreti incofessabili riesce a far emergere una cattiveria di fondo in modo decisamente esplicito. Se in questo film si ride tanto, si rimane, al contempo, molto colpiti anche dal loro gioco al massacro (chiamate, messaggi , chat, mail) perché tutti i personaggi sembra si dilettino nel colpirsi l’un l’altro. Ciò che emerge per lo spettatore, alla fine, è che ad infierire non sono le bugie, gli amori virtuali – sia di uomini che di donne- ma le mentalità inconsapevolmente intolleranti dei nuovi mostri della nostra piccola società. Vi sono da parte loro repliche screditanti che feriscono impietosamente con l’uso del messaggio o della chat, armi decisamente letali. Secondo noi, con quest’opera quasi completamente teatrale, molto più agra che dolce, il giudizio degli autori si rivolge a storie nascoste, storie sbagliate, nelle quali è semplice riconoscersi: ciascuno di noi cela almeno un peccato nel proprio smartphone. Il cast è affiatatissimo, ma spiccano Mastandrea e Giallini, e Genovese si distingue dai vari Miniero, Zalone e Brizzi come “maestro” della “nuova commedia italiana”: è un autore più interessante forse perché offre allo spettatore opere “socialmente” più complesse di quello che appaiono, nonostante non rinunci, comunque, al tono leggero e ad una scrittura scorrevole.

E’ un prodotto che ha attratto il pubblico indubbiamente per il soggetto -la vita segreta, ormai quasi nella norma, con i nostri cellulari- di Fausto Brizzi (anch’egli nelle sale con il suo Forever Young) e che il regista ci ha servito con una sceneggiatura asciutta (poche battute, ma al contempo, vivace e tagliente (“io so frocio solo da du ore…e già m’è bastato!”) che assegnano a questo film un tono melodrammatico e determinato al punto giusto. Il soggetto, siamo convinti, si sarebbe ben prestato a sviluppi con scene madri plateali, ma il regista e i coautori sono stati molti abili nel tenere saldamente la barra a dritta. E secondo noi banalizzarlo a piccola storia di tradimenti e intrecci amorosi è piuttosto riduttivo: “Perfetti sconosciuti” è una fotografia su quanto un oggetto pratico e, diciamocelo, ormai inseparabile come lo smartphone, sia diventato dannoso perché a causa del suo utilizzo, mal dosato, elimina qualsiasi tipo di comunicazione autentica, tangibile, umana. Il film ha anche una conclusione tutt’ altro che banale: i vari personaggi scelgono (o almeno sembra…), di conservare i loro consolidati ruoli, le loro consolidate convenienze sociali e situazioni familiari, oltre a tutti i rispettivi piccoli segreti. L’ipocrisia è sempre la via più comoda, rispetto alla Verità, pericolosa per la nostra vita sociale. Da ricordare che questo film è stato riconosciuto di interesse culturale dal Ministero per i Beni e la Attività Culturali, realizzato con il sostegno della Regione Lazio in associazione con il Monte dei Paschi di Siena.

Giada Infante