Michele Masotti, Pugno di diamante. Poesie sul Palio di Siena

A un senese nulla più del Palio dà l’idea della permanenza. Il ricordo dei cavalli e dei fantini vittoriosi, il calendario contradaiolo, i momenti che scandiscono e incendiano la Festa: la tratta, le prove serali, la cena della prova generale, la corsa. E all’interno di queste 96 ore, vissute con l’ardore di chi sa che potrebbero rendere esaltante e densa di significato un’esistenza intera, ritornano tanti altri piccoli rituali, che palesano, nella loro diversità, un identico rispetto per la tradizione, vale a dire per ciò che gli anziani hanno trasmesso con sconfinato amore ai più giovani, e che poi in fondo altro non sono che l’espressione della fiducia che gli eventi palieschi si possano, in qualche modo, in qualche misura, guidare o, se non altro, prevedere.

Basti pensare, sotto questo aspetto, all’attenzione con la quale, in occasione della presentazione del drappellone, i contradaioli scrutano la componente cromatica di quest’ultimo, certi che in essa è possibile ravvisare il nome del rione vincitore. E se il destino non sembra favorevole alla propria contrada, è già motivo di soddisfazione scoprire – o credere di scoprire – che propizio non lo sarà neppure alla rivale.

Vero è che questa permanenza appare strettamente intrecciata al divenire, come sempre accade quando si parla di uomini, di vicende degli uomini. Perché se la contrada, col suo territorio, la sua società, i suoi ambienti, la sua inimitabile storia, resta identica nel tempo, i capitani, i priori, i mangini, il popolo, i fantini che ci hanno fatto gioire o dannare, trascorrono, svaniscono, muoiono. E’ per questo che l’amore per il Palio è sempre amore per la vita, colta come continuità che non esclude la perdita, la frattura, il lutto, ma che li riassorbe all’interno del proprio incessante scorrere e trascorrere.

Ricordare chi è morto e che un giorno, neppure troppo lontano, col nostro stesso identico orgoglio varcò la soglia della società di contrada – al collo un fazzoletto, fuori le bandiere impazzite fendevano l’aria, fuori le voci in festa riempivano l’aria – è sentirsi parte di una comunità e di una storia, che conforta al pari di tutto ciò che né inizia né finisce con noi, dal momento che ci trascende e ci comprende, dandoci l’illusione, la benedetta illusione, che morte è soltanto il nome che diamo allo spegnersi di una scintilla, non della fiamma, perché la fiamma non si spegnerà mai. La prima raccolta di versi del senese Michele Masotti, già autore di romanzi apprezzati dal pubblico, intitolata Pugno di diamante e articolata in tre sezioni (“I volti”, “Momenti”, “Il senso”), presenta come motivo conduttore proprio il tempo, il tempo che tutto travolge, ma anche il tempo che è costretto ad arrendersi all’evidenza e alla forza della memoria. La poesia che segue, “Pasqualino, un ragazzo”, è dedicata a Pasquale Virgili, caduto in occasione delle batterie del 1964 e rimasto invalido.

“Il mattino col sole sgrezza
antichi fantini d’una
corporazione morente.
Il vento che semina
il querceto
c’asciuga, ci schianta,
scompare.
Eppure sul greto
innumeri stanno i miraggi.

Una pieve piccina a San Giorgio
ove prego il ritorno.
Il viso a palpebre chiuse
si scossa e nel cielo
vapora un brandello
di tempo:
Berta.
Sbuffo sulla spianata”.

Michele Masotti, Pugno di diamante. Poesie sul Palio di Siena, Pordenone, Leone editore, 2016

Michele Masotti, Pugno di diamante. Poesie sul Palio di Siena, Pordenone, Leone editore, 2016

 

a cura di Francesco Ricci