Massimo Biliorsi, Canzoni intonate alle strade di Siena

La città è un argomento molto frequentato dalla canzone d’autore. Da Paolo Conte a Roberto Vecchioni, da Antonello Venditti a Luca Carboni, quello che di una città costituisce il profilo, l’atmosfera, lo spirito, si fa sovente parola, si fa sovente musica. E c’è anche chi, come Francesco De Gregori in “Viaggi e miraggi”, riesce meravigliosamente a compendiare in un unico testo differenti realtà urbane, cogliendone di ciascuna il tratto che meglio la caratterizza. Accanto, però, alle canzoni che esprimono il sentimento di appartenenza collettiva e condivisa a un luogo, al punto da divenire, in alcuni casi, delle vere e proprie colonne sonore dello stesso – come è accaduto con “Genova per noi” o con “Roma capoccia” –, ce ne sono altre che rimandano a un’esistenza singola, unica, individuale.

Ciascuno di noi, infatti, ha delle canzoni (dei brani) che lo raccontano, lo accompagnano, lo definiscono. Non è certo un caso che alcune figure di spicco della scena letteraria abbiano lasciato precise disposizioni in merito all’esecuzione, nel corso del proprio funerale, di quei brani che meglio gli parevano suggerire ciò che la loro vita era stata o che loro avrebbero voluto, invano, che fosse. Penso, ad esempio, a Elsa Morante, che aveva indicato come musiche da far eseguire nel corso della cerimonia funebre alcuni brani tratti da “Il flauto magico” di Mozart, le prime canzoni di Bob Dylan, “La passione secondo Matteo” di Bach: in quelle note e in quei testi la scrittrice romana si rivedeva, si riconosceva. 

Anche Massimo Biliorsi ha le “sue” canzoni, e nel delizioso volume “Canzoni intonate alle strade di Siena” le mette in fila, una dietro l’altra, da “Solsbury Hill” di Peter Gabriel a “Ti lascio una canzone” di Gino Paoli, passando per “Penny Lane” dei Beatles, “Inverno” di Fabrizio De Andrè, “Rocket man” di Elton John, e oltre. Siena offre lo spunto, il testo della canzone scelta porge la storia, l’io narrante osserva, rammemora, interroga, afferma e, soprattutto, raccorda il primo col secondo elemento, vale a dire lo spunto con la storia. Lo fa con discrezione, assumendo una posizione defilata, quasi a non voler mettere in ombra quelli che del libro sono gli autentici protagonisti: la città di Siena e certi “assoluti”, ovvero certi snodi esistenziali, che alla fine rendono simili – mai uguali – tutte le vite: l’innamoramento, l’amore, l’incontro, l’addio, il radicamento, la nostalgia, il sesso, la solitudine, la socialità. Ed è proprio nell’incessante gioco di rimandi (l’esperienza di vita dell’autore, le storie raccontate dalle canzoni, Siena con le sue strade, le sue piazze, i suoi angoli) che consiste la magia e l’incanto di questo libro, nel quale “la coralità” e “l’individualità”, cui accennavo in apertura, si saldano felicemente. Quello che segue è il primo dei venti (+1) capitoli (o schede) ed è dedicato a “Solsbury Hill” di Peter Gabriel (1977). Il volume è prefato da Giampiero Cito e impreziosito dalle bellissime illustrazioni di Edoardo Di Prisco.  

“Ci sono molti punti in comune fra la collina di Solsbury Hill, nelle terre inglesi di Bath, e Montaperti, uno dei topos delle vicende repubblicane senesi. Nel V secolo i bretoni e gli anglosassoni si scontrarono con la partecipazione straordinaria nientemeno che di Re Artù, trasformando Solsbury Hill in un luogo denso di particolare epicità. Non stiamo a ribadire come invece la nostra collina, fra la Biena e la Malena, sia il punto più alto della patriottica volontà di un radicato antifiorentinismo. Ma ci sono altri punti di incontro: la dolce vetta british aveva, all’alba della civiltà, un tempio dedicato ad Apollo, mentre nei dintorni di Montaperti, il tempio di Dofana ci racconta il lampo cristiano del microcosmo senese. Luoghi anche magici, adatti alla meditazione, alla scoperta di memorie che si manifestano senza ritegno, oppure spingono all’effettuazione di riti magici. Come non ambientare alla collina animata di Montaperti, con la sua enigmatica piramide circondata da meditabondi cipressi, la “Solsbury Hill” di Peter Gabriel, uno dei primi brani scritti dall’artista inglese dopo la sua clamorosa uscita dai Genesis? Facile passare dunque dalle lande della contea del Somerset alle crete di Castelnuovo, che spiano da secoli la città turrita. L’inconfondibile voce di Gabriel ci svela: ‘Scalando la collina di Solsbury potrò vedere la luce della città. Il vento soffiava, il tempo si è fermato, l’aquila volava nella notte’.

Massimo Biliorsi, Canzoni intonate alle strade di Siena, extempora edizioni, Siena 2022

 

a cura di Francesco Ricci